Vuvuzela – la parola del mese di Luglio
Chi avrebbe mai scommesso che una lingua bantu (lo tswana) avrebbe regalato al mondo – potenza della globalizzazione – un simile tormentone lessicale, la trombetta ad aria che ci ha ronzato attorno (letteralmente parlando) negli ultimi mondiali sudafricani del pallone?
Tanti sport nazionali, è risaputo, hanno risentito nei secoli di massicci travasi da altre lingue: in passato soprattutto il francese, in tempi più recenti soprattutto dall’inglese: dall’ippica al pugilato, dalla pallacanestro allo stesso calcio.
Alfredo Panzini, nella prima edizione del suo Dizionario moderno (1905), notava come «nella patria del Calcio e della Pallacorda si giochino ambedue i detti giuochi con denominazioni inglesi ed i maestri insegnino in inglese, e i vecchi nomi italiani siano obliati». Aveva quindi aggiunto: «Dicono gli intenditori che il nuovo foot-ball non corrisponde all’antico e perciò i nuovi nomi hanno giusta ragione di essere. Distinguono il rugby e l’association, due modi di giocare al calcio, questo più costumato e civile, l’altro fiero e violento nella gara di vietare l’accesso al pallone. Misurasi il campo a yards, i giocatori si chiamano foot-ballers, la prima fila dicesi dei forwards, goal la porta per cui gli uni sforzansi di far passare la palla, gli altri di respingerla. Le pene sono dette penality, il guardiano della porta è detto goal-keeper, il giudice del campo referer, il calcio è pronunciato kick, gli alfieri sono detti forwards, bar l’asta trasversale della porta, full-backs i difensori della porta o terzini e così via. Pensando che questi giuochi geniali di gagliardia sono giocati da giovani e i giovani sono per la più parte scolari, non sarebbe consigliabile che ad evitare cotesto abuso di voci straniere intervenisse l’autorevole voce di un ministro della P.I.?».
Dati i tempi, meglio lasciar perdere…