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Un particolare impegno sociale

02/12/2009 6110 lettori
5 minuti

A proposito di Etica del management. Nuove prospettive per una cultura d’impresa responsabile, libro a cura di Carlo Simeone, edito da Ipse nel 2009. «I comportamenti individuali, anche quando investono i doveri che riguardano la collettività, devono essere improntati all'etica attraverso un nuovo senso di responsabilità che abbia al proprio centro la dignità della persona ed il bene comune, come valori sui quali costruire un equilibrio sociale umano e più giusto. E' necessaria una rinnovata voglia di fare, di fronte ad un mondo che rischia di cambiare senza la partecipazione attiva dell'uomo». E ancora: «il benessere e la prosperità non sono il frutto, come comunemente si crede, dell'intuizione di una sola persona. Presuppongono invece la condivisione di un progetto da parte di intere comunità di persone, che si raccolgono intorno a determinati principi fondamentali».

Muovendo da questi assunti e stimolato dalle continue provocazioni con proponimenti risolutivi, che tali poi non risultano, mi sento di insistere su un particolare impegno sociale: imparare ad esplicitare la propria conoscenza tacita. Un’intuizione che più volte mi è capitato di reiterare nei miei precedenti contributi. Alla perseverante sollecitazione di compartecipare ne è conseguita solo una muta risposta delle mie ricerche in rete. In ogni caso ho potuto trovare materiale di un certo interesse a suffragio della mia percezione; in particola un testo a cura di Ortensia Mele «Imparare dall’esperienza», di cui ho ripreso parte dei prossimi paragrafi e riportato in calce il link.

Le situazioni con le quali si misura l’attività professionale sono intrinsecamente instabili, e dunque si è attualmente posti d’innanzi ad un’esigenza di adattabilità senza precedenti. Cambiano, infatti, come spesso sostenuto dagli addetti, le conoscenze e le tecnologie che devono essere usati e al tempo stesso cambiano anche le aspettative della società e le esigenze degli individui che devono essere serviti. Da ciò deriva che le situazioni che caratterizzano l’esercizio della pratica non presentino problemi da risolvere, ma siano vere e proprie situazioni problematiche caratterizzate da disordine, incertezza e indeterminatezza.

Quasi sempre i competenti sembra sappiano più di quanto sono in grado di dire. Essi mostrano un tipo di attività cognitiva nella pratica, gran parte della quale è tacita, ma rivelano spesso capacità di riflessione sul loro conoscere intuitivo ed usano questa capacità per affrontare le situazioni uniche, incerte e conflittuali della pratica. Se questa conoscenza pratica, affiancandola alla conoscenza teorica, potesse essere comunicata, condivisa, discussa, arricchita da apporti diversi di molti competenti, avremmo un patrimonio di risorse di portata incalcolabile. Ma queste ricchezze pur essendo a portata di mano, vengono dissipate. 

Si ha invece un grande bisogno di una teoria esplicita dell’approccio allo sviluppo interpersonale delle competenze concrete. Una sorta di «teoria dell’azione» basata sull’idea che i modelli dell’azione si fondino su teorie in uso largamente implicite ed inesplorate. Si ha bisogno di indagini sull’epistemologia della pratica, ma si è legati ad un’epistemologia della pratica professionale che ci lascia incapaci di spiegare, o perfino di descrivere, competenze alle quali ormai si comincia ad attribuire grande importanza.

 
Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.