Bentornato. Accedi all'area riservata







Non ti ricordi i dati di accesso?Recupera i tuoi dati

Crea il tuo account

2 SHARES

Niente scaricaggio, siamo Urbani

09/06/2004 4156 lettori
4 minuti

Tratto da Scidecom.org, autore Gianni Bosio

--> Ragguaglio n. 3 (19/05/2004)

Niente lotta annunciata, niente battaglia interminabile. Niente di niente. Il decreto Urbani è stato convertito in legge senza che nessuno abbia mosso un dito per modificare gli obbrobri legislativi (che il Ministro si ostina a chiamare "pagliuzze") in esso contenuti. In sostanza; sì alla criminalizzazione indiscriminata del peer-to-peer; sì a gabelle medievali sui supporti e sui dispositivi di masterizzazione; sì a finanziamenti pubblici per la boccheggiante industria cinematografica (e non solo: si parla anche di soldi allo sport); sì ad un assurdo "bollino" SIAE da apporre a tutti i materiali condivisi ma privi di diritto d'autore.

Il peggiore dei quadri possibile, si potrebbe dire. E probabilmente non si andrebbe molto lontani dal vero, se non fosse per la "promessa" ormai non molto attendibile, che il Ministro ha fatto al Senato facendo porre fra gli ordini del giorno delle prossime sedute la discussione di una nuova legge che modifichi sostanzialmente la neonata Legge Urbani eliminando in sostanza tutto quello che in essa ha fatto scalpore negli ultimi due mesi.

La domanda è: ma non potevano pensarci prima?



--> Ragguaglio n. 2 (28/04/2004)

La Camera, dopo lunghe discussioni, ha approvato, con la quasi unanimità dei votanti la conversione in legge del decreto. Esultano i provider, che si vedono finalmente tolto l'obbligo di vigilanza attiva; si scatena tuttavia un putiferio intorno al mutamento della condizione per lo scattare delle sanzioni penali. Questa è infatti passata, grazie ad un emendamento della Margherita, da "per fini di lucro" a "per trarne profitto".
Perché una tale bagarre? Semplicemente perché la Corte di Cassazione ha sempre riconosciuto alla locuzione "per trarre profitto" una validità molto più larga rispetto ai "fini di lucro", comprendente anche il mancato guadagno del detentore del copyright e non solo il guadagno diretto per la cessione del contenuto. In questo modo, rischierebbe di essere punibile penalmente l'intero sistema del peer-to-peer, giù giù fino ai ragazzini che si scambiano i CD per masterizzarseli. Un bel lavoro per le nostre forze dell'ordine, non c'è che dire.
Dopo le dure critiche di numerosi giuristi su questa enorme falla legislativa, sia la maggioranza, nella persona di Gabriella Carlucci, sia l'opposizione, rappresentata dal combattivo Pietro Folena, hanno presentato le loro scuse, unite alla volontà di correggere questo grave errore di stesura durante il passaggio in Senato. Per chi fosse interessato, le loro dichiarazioni si trovano, rispettivamente, a questi url:

http://punto-informatico.it/p.asp?i=47972
http://punto-informatico.it/p.asp?i=47974

Continuano inoltre ad essere al centro della polemica i nuovi "balzelli" introdotti per gli strumenti di masterizzazione: un altro punto che potrà essere sottoposto a prossima revisione Ancora una volta, non resta che aspettare...



--> Ragguaglio n. 1 (13/04/2004)

La nostra parlamentare galoppatrice di tori meccanici ha finalmente profferito parola su quello che sarà il nuovo volto del decreto legge da lei ereditato dal Ministro che sopra rechiamo in foto. Queste sono le modifiche ad oggi segnalate: la sanzione amministrativa per chi scarica o condivide ad uso personale qualsiasi tipo di materiale protetto da copyright viene ridotta e fissata a 154 euro; viene introdotto un prelievo pari al 3 per cento del prezzo di listino dei masterizzatori DVD come ricompensa per la possibile frode (per chi non lo sapesse, la stessa cosa si applica da più di 10 anni ai videoregistratori); non cambiano gli (impraticabili) obblighi di vigilanza precedentemente stabiliti per i service provider.



Forum, newsgroup e blog inerenti il peer-to-peer da un paio di settimane non parlano d’altro: un decreto nato male, sotto forti pressioni lobbistiche da parte dei poteri forti della boccheggiante industria cinematografica italiana, e che sta incontrando un’esistenza tanto travagliata da poter tranquillamente essere accostata a quella di un personaggio della più contorta telenovela sudamericana.


Fase 1: il panico

Le novità introdotte dal decreto non sono state sconvolgenti, né hanno costituito una svolta particolarmente efferata nel duro cammino legislativo per il rispetto ad oltranza dei diritti d’autore su Internet. Ciò che ha stupito e, in una certa misura, sconvolto l’intera comunità on-line gravitante intorno ai sistemi di scambio di file è stata l’arroganza con cui questo decreto, tanto astruso quanto inapplicabile, è stato promulgato ed imposto. Analizziamo dunque il decreto, così come si presenta nella sua stesura ufficiale reperibile qui, e che sarà in vigore fino a fine maggio, quando sarà nuovamente discusso alla Camera.

In primo luogo, sono state rese più dure le sanzioni contro chi diffonda a scopo di lucro opere cinematografiche con qualsiasi mezzo, compreso quindi quello telematico, in misura superiore alle 50 copie: dai 2.500 ai 15.000 euro, con la reclusione dai sei mesi ai tre anni.
Per l’utente domestico, ancora una volta in caso di diffusione di opere esclusivamente cinematografiche, ma in questo caso per uso personale, viene invece prevista una multa di 1.500 euro, a cui vanno sommate la confisca degli strumenti con cui il reato è stato perpetrato (computer, tastiera, mouse, tappetino…) e le spese per la pubblicazione della sanzione su di una rivista specializzata nel settore dello spettacolo o su di un quotidiano a diffusione nazionale (e chi pensa ad una gogna non va molto lontano dal vero).
Tuttavia non ci si è limitati al voler colpire chi effettivamente commetta il reato, ma anche chi suggerisca, in maniera più o meno indiretta, il modo in cui farlo; e la sanzione amministrativa, i questo caso, sale a 2.000 euro. “Dissuadere ed educare”: questi sono, nell’idea del Ministro dei beni culturali Urbani, gli scopi a cui questi due provvedimenti dovranno puntare, dal momento che “chi commette questo tipo di abusi - sono sempre parole del Ministro - sono soprattutto i giovani”.

Il punto più controverso dell’intero Decreto è però quello relativo al ruolo dei “service provider” nel meccanismo di repressione che si intende con esso delineare; questi, infatti, si ritrovano obbligati a dover rispondere direttamente al dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno qualora abbiano “effettiva conoscenza” di reati inerenti alla pirateria informatica, pena una sanzione amministrativa compresa fra i 50.000 ed i 250.000 euro.
E’ tuttavia oscuro il modo in cui i provider debbano essere obbligati a giungere ad una tale conoscenza, dal momento che l’intercettazione del contenuto delle comunicazioni degli utenti è a sua volta illegale, e gli stessi dati informativi sul traffico (i cosiddetti “log”) possono essere utilizzati dai fornitori esclusivamente ai fini della fatturazione. Solo in seguito ad un provvedimento dell’autorità giudiziaria, e quindi presumibilmente a reato compiuto, il provider si ritrova legalmente autorizzato ad intraprendere attività di intercettazione e monitorizzazione. Ad aggravare ulteriormente lo stato di confusione contribuisce l’evidente sovrapposizione di doveri fra autorità giudiziaria e dipartimento di pubblica sicurezza (ma forse il nome “Digos” rende meglio l’idea).

A rendere ancor meno credibile il decreto interviene la ridicola clausola, a cui si è già accennato, per cui i provvedimenti previsti riguardano esclusivamente la diffusione di opere di carattere cinematografico, con buona pace di tutta l’industria musicale e dell’editoria. E come se ciò non bastasse a rendere chiara l’origine di tutto questo assurdo papocchio legislativo, si è voluto accompagnare il Decreto con lo stanziamento di una serie di finanziamenti straordinari ammontanti a circa 80 milioni per l’industria cinematografica italiana, considerando di gravissima urgenza la tragica situazione in cui essa riversa da parecchi anni. E vogliono anche farci credere che sia tutta colpa di chi scarica i film dal peer-to-peer.


Fase 2: la retromarcia

Il fronte delle proteste contro il decreto è stato da subito sorprendentemente compatto, tanto da comprendere pressoché tutte le parti direttamente o indirettamente chiamate in causa, nonché un ostracismo politico proveniente sia dalle fila dell’opposizione che dai ranghi della maggioranza preposti alla sorveglianza sui temi culturali.

Le associazioni degli utenti e, in maniera ancora più autorevole, quelle dei service provider, hanno espresso il loro dissenso. Da un lato, la manifestazione più importante è stata la petizione inaugurata dal sito http://no-urbani.plugs.it, aperto sostenitore del peer-to-peer come “'alfiere di una nuova era e completa realizzazione di Internet”. Dall’altro, il dissenso si è raccolto intorno alle parole di Paolo Nuti, presidente dell'AIIP, Associazione dei provider italiani, che evidenzia come il decreto sia totalmente “squilibrato”, non in grado di discernere nemmeno fra up-load e down-load dei contenuti, nonché pesantemente incostituzionale nella misura in cui prevede un ruolo di “mastini” delle comunicazioni dei propri utenti da parte dei provider stessi.

Come era abbastanza ovvio aspettarsi, anche l’opposizione politica di centro-sinistra ha fatto proprio il rifiuto del decreto Urbani, presentando alla Camera una “questione pregiudiziale” che sottolinea come con questo provvedimento vengano violate, oltre ad un paio di norme della Comunità Europea, anche qualche principio basilare della Costituzione italiana, come l’equiparazione delle opere d’ingegno ed il coordinamento da parte dell’autorità giudiziaria delle attività di polizia (ricordate? I provider rispondono direttamente alla Digos…), il principio di proporzionalità della sanzione (1.500 euro per una copia di infima qualità di “Natale in India” sembrano troppi anche a me).

Desta, se possibile, ancor più scalpore la diffidenza nei confronti del decreto da parte della stessa maggioranza di governo: il Ministro delle telecomunicazioni Gasparri ha garantito che vi saranno molte cose da modificare in merito; di questo si è incaricata la Commissione cultura della Camera dei Deputati, la cui relatrice, Gabriella Carlucci (dai, basta ridere, è un articolo serio), ha annunciato di voler finalmente intraprendere la strada dell’ascolto di tutte le parti coinvolte, cosa a suo tempo nemmeno presa in considerazione da Urbani.

Trovandosi ormai stretto alle corde, ripudiato dai suoi più fidi alleati, il Ministro Urbani si è così trovato costretto a scendere a compromessi, nonostante le sue dichiarazioni in merito siano state finora nebulose ancor più del suo stesso decreto. Dapprima, era stata annunciata come certa l’approvazione in toto delle correzioni proposte nella pregiudiziale dell’opposizione, tanto da convicerne al ritiro gli stessi esponenti che l’avevano presentata; in sostanza: niente sanzioni per il download ad uso personale, equità di trattamento per tutte le opere d’ingegno, rispetto per il ruolo di fornitori e non di controllori dei provider. Poi il Ministro è tornato sui suoi passi, annunciando che, in realtà, le sanzioni dovevano rimanere. Infine, questa volta in maniera ufficiale, si è deciso di cassare le sanzioni (una volta per tutte?)
La Commissione è anche andata oltre: si è infatti ventilata l’ipotesi di una tassa, per certi versi simile al balzello già imposto sui supporti vergini di masterizzazione, da imporre ai provider stessi, e che potrebbe andare a coprire i danni delle copie ottenute non a fini di lucro dagli utenti; resta ancora da capire se si tratti di una semplice “sparata” o di qualcosa di effettivamente praticabile.


Fase 3: la vedetta

E cosa fa in tutto questo Scidecom.org? Come ovvio, sta a guardare, e vi informa. Perché quello che viene detto oggi potrebbe essere rinnegato domani. Oppure potrebbe diventare una nuova legge, chissà. Ma nel frattempo, potete sempre farci sapere la vostra opinione: il forum è li che aspetta.