Scienze della Comunicazione? E sarebbe?
Mi sono iscritto al Corso di laurea in Scienze della Comunicazione a Padova nel 1999.All’epoca potevo essere considerato per certi versi un pioniere: nella città in cui vivo e studio il corso era stato attivato da poco ed in tutta Italia i laureati in questa disciplina si contavano sulle dita di una mano.
Anche allora però ero stato colpito da un fatto, nessuno sapeva esattamente cosa si studiasse e quali fossero gli sbocchi di questa laurea, la confusione con Scienze dell’Educazione ed Ingegneria delle Telecomunicazioni (tanto per citare i casi meno tragici e grotteschi) erano all’ordine del giorno, la frase d’obbligo era “Ah, giornalismo…” ed il discorso terminava sempre con la solenne conclusione “E’ una disciplina nuova, queste sono le facoltà del futuro”.
Alzi la mano chi, fra gli studenti miei colleghi, non è mai incappato in un discorso del genere.
Oggi di fatto Scienze della Comunicazione è diffusa in un gran numero di Atenei, mentre altri se ne continuano ad aggiungere, ed il numero di iscrizioni è in crescita continua (19998 matricole nel 2001/2002), frenato solo dai test di ammissione per il numero chiuso.
Dunque davanti a tanta richiesta si potrebbe pensare che il tempo abbia istituzionalizzato questo corso e che per tale motivo chi si iscrive oggi può cominciare un percorso di studi di cui sa tutto, favorito dal fatto che famiglia, società e mondo del lavoro hanno una certa nozione dei temi che si trattano nelle aule di SdC.
A me risulta però che la situazione non sia molto diversa da quella dei tempi della mia iscrizione.
Nel frattempo ho sviluppato una poderosa pazienza e dunque sono rassegnato a spiegare ancora per molti anni ai miei parenti ed ai miei amici che non diventerò per forza giornalista (frequento l’indirizzo di Comunicazione di Impresa) e forse perfino i miei zii un giorno si faranno una ragione del fatto che non ho scelto giurisprudenza.
Ma chi spiegherà ai nostri datori di lavoro cosa siamo veramente noi futuri laureati?
Il punto è uno solo, noi che dovremmo essere i padroni della comunicazione non comunichiamo.
Direi che il fatto è paradossale eppure questa è la situazione, le persone che studiano Scienze della Comunicazione (ed i loro atenei di riferimento, che hanno delle grandi colpe) non sono state in grado di far comprendere al resto del mondo come diavolo vengano spesi cinque (ora tre) lunghi anni di studio e quale sarà, oltre al giornalista, la collocazione futura di questi studenti.
Non che la buona volontà non ci sia, anzi, le iniziative fioriscono a ritmo continuo, purtroppo però siti e associazioni hanno in molti casi vita breve, sorrette spesso dal solo entusiasmo dei fondatori che poi si spegne di fronte alla mancanza di collaborazione e di visibilità.
Sono solo difetti di gioventù?
La situazione sta indubbiamente migliorando e recentemente si sono sviluppati alcuni siti validi e ben pensati, in grado di consentire agli studenti di tutt’Italia di incontrarsi, scambiare risorse e, diciamolo, anche di farsi un po’ di pubblicità.
Questi siti però si rivolgono a chi è all’interno del corso o comunque a chi ha già confidenza con la comunicazione: nulla di male, anzi, creare un collegamento fra “addetti ai lavori” è sicuramente è un passo importante nello sviluppo del corso, anche per evitare la dispersione delle (scarse) risorse disponibili.
Il problema tuttavia è altrove, infatti è ancora rara una comunicazione rivolta all’esterno che spieghi in modo semplice e serio cosa sia Scienze della Comunicazione (piacevoli eccezioni sono il sito a cura di Loredana Flamingo e la sezione dedicata al corso sul nuovo sito di Aiscom), per far sì che il “mondo di fuori” sia in grado di collocare al giusto posto questa disciplina e coloro che la studiano.
Comunicare vuol dire primariamente mettere in relazione, gli interlocutori possibili però sono tanti e parlano lingue diverse, non è possibile pensare che siano essi a venire ad informarsi su di noi futuri comunicatori, bisogna invece saper andare loro incontro e questo lo dovrebbero capire anche le Università, nell’interesse proprio e degli studenti.
Iniziative valide sono state promosse da Aiscom e dalla (scomparsa?) Errepi studenti, le idee non mancano e riconosco che il compito non è semplice, perché l’argomento è complesso, in continuo movimento e riconosciuto solo da poco nella sua importanza e dignità.
Resta il fatto che io sono scambiato ancora per un ingegnere o per un educatore.
Non lancio accuse, non do ricette ma vorrei una risposta al quesito che pongo: è davvero possibile che nessuno comunichi i comunicatori?
Chissà che una risposta non mi giunga proprio dalle pagine di questo sito.