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Quel «assolutamente social» sembra un «imperativo» per relazionarsi.

15/02/2012 7318 lettori
4 minuti

 

L'equivoco: l’uso di un termine con riferimento a più cose, non può fare altro che confusione. Si complica ulteriormente la situazione in ambito di gerghi tecnici, allorquando si ha la pretesa di farli entrare nel linguaggio comune perché «fanno moda» o comunque «danno un tono», uno spessore a chi li usa. Trasgredire la buona norma resta appunto un imperativo astratto privo di alcuna valenza.

Di fronte alla crisi totale delle ideologie e dell'intera società, appare chiaro che il compito che ci si pone non è quello di partecipazione alla società, ma della costituzione stessa dei valori umani e sociali, originalmente determinati nella storia. Più sottile ed oggi più diffusa, è la tentazione di estenuare talmente le direttive da ridurle ad un generico ed universale imperativo di stampo kantiano: imperativo categorico o voce della coscienza, che universalmente in ogni individuo spinge al rispetto di regole morali universali che si traducono in azioni differenti fra i vari contesti.

Così il giudizio etico come quello estetico varia nel tempo e a seconda della situazione, ma è sempre riconducibile in ogni individuo all'applicazione di regole universali che fanno agire per il giusto e contemplare per il bello, senza variare da individuo a individuo: le regole etiche ed estetiche sono le stesse in ogni individuo ed egualmente la loro applicazione. Qualunque individuo purché razionale, nella stessa situazione, avrebbe fatto la stessa cosa e considerato bella una certa opera. «Assolutamente social»!

Non fanno eccezioni all’equivoco le imprese che vogliono essere «assolutamente social». Si confonde la politica «autoreferenziale», nella preparazione della campagna del turno elettorale. Confida «l’agenzia di comunicazione, magari beneficiata di un qualche premio per quella campagna grazie all’amico in giuria: budget incrementato per l’anno successivo, incarico rinnovato». Ancora equivoco e riduttivo il significato del termine «budget» mutuato dal linguaggio straniero anglofono o francofono che sia. Nell'ambito dei sistemi di controllo di gestione il budget riveste un ruolo molto importante, non tanto e non solo come riferimento operativo generale sull'andamento (in confronto a quanto previsto), ma anche perché, nel suo processo di preparazione: obbliga tutte le aree interessate a riflettere sulle attività di propria competenza, impostare programmi e monitorare (controllare continuamente) le attività quando i programmi diventano operativi; promuove (anche obbliga) la comunicazione tra le diverse aree e il confronto su fabbisogni spesso contrastanti; fornisce, di conseguenza, dei criteri di valutazione delle performance (necessariamente) condivisi.

Anche nell’era digitale, ciascuno è posto di fronte alla necessità di essere persona autentica e riflessiva. Del resto, le dinamiche proprie dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali. Ne consegue che esiste uno stile di presenza anche nel mondo digitale: esso si rende concreto in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro. La comunicazione sui social media deve essere innanzitutto relazionale, focalizzata ad accrescere la reputazione e l’attendibilità dell’impresa e a rafforzare la fiducia e lo scambio d’informazioni. L'idea che le aziende hanno il dovere di affrontare i mali sociali non solo è difettosa, ma rende inoltre più probabile che saranno ignorate le soluzioni reali a questi problemi.

Le imprese possono fare bene compiendo il bene? Sì, qualche volta. Ma l’idea che le aziende hanno la responsabilità, di agire nell’interesse pubblico e fare, profitto così è fondamentalmente errata. Sono le grandi aziende ormai di routine a sostenere che essi non sono in attività solo per i profitti, ma sono anche intenti a servire uno scopo sociale più ampio. Intuizioni influenti incoraggiano le imprese a perseguire strategie di questo tipo. Non è sorprendente che questa idea ha convinto più di così tante persone: è una proposta attraente. L’idea di responsabilità sociale è irrilevante: le società che si limitano, a fare tutto il possibile per aumentare, i profitti finiranno per prolungare il benessere sociale. In circostanze in cui profitti e benessere sociale sono in opposizione diretta, un appello alla responsabilità sociale delle imprese sarà quasi sempre inefficace, perché i dirigenti non rischiano di agire volontariamente nell’interesse pubblico e contro gli interessi degli azionisti.

La Responsabilità Sociale d’Impresa può essere definita integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Un comportamento socialmente responsabile monitorato e rispondente alle attese economiche, ambientali, sociali di tutti i portatori d’interesse, fa conseguire all’impresa un vantaggio competitivo e l’obiettivo di massimizzare gli utili di lungo periodo. Ne consegue, infatti, l’apprezzamento del prodotto non unicamente dovuto alle caratteristiche qualitative esteriori o funzionali; bensì il suo valore è stimato in buona parte per le caratteristiche immateriali: condizioni di fornitura, servizi d’assistenza, immagine ed infine storia del prodotto stesso. Occorre rilevare che la « Responsabilità Sociale d’Impresa » non è filantropia o volontariato aziendale, bensì è qualcosa che fa parte del business. In sostanza, si chiede alle aziende di prendere consapevolezza delle azioni che si compiono e di renderle pubbliche. Riguardo al concetto di responsabilità sociale dovrebbero essere sviluppati modelli di gestione aziendale innovativi, legati al tema dell’etica.
 
 
 
Bibliografia
 
Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.