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I racconti della risorse Umane

24/01/2011 12:00:00 33403 lettori
5 minuti
Avevo spento il telefono, non avevo risposte da dare per la fuga dall’altare.
Dopotutto non ero stata tanto originale, avevo copiato un film di Hollywood.
Il coraggio per dare spiegazioni era scomparso. Poi sarei sembrata una paranoica perché sapevo i concetti ma non avevo le parole per spiegarli.
 
Presi il primo volo per Milano, destando sicuramente una curiosità sociale sul mio abbigliamento. Ero una sposa vagante anziché una sposa sorridente nell’auto col marito. Ma impossibile spiegare alle persone il sapore della libertà. E, in fondo, era giunto anche il momento di non dare più spiegazioni.
Dunque disoccupata. In viaggio e disoccupata.
 
Arrivata vicino al Duomo conobbi la prima risorsa Umana di questo lungo racconto.
 
 
Immobile, Sara stava ore ferma senza parlare né chiudere le palpebre. Faceva un lavoro strano lei: era un mimo vestito di bianco. Di quelli che si trovano per Corso Vittorio Emanuele e che fanno dei movimenti non appena sentono il rumore di una moneta che cade nel loro cappello.
 
Sara a sedici anni sognava di fare la ballerina. Sua madre le aveva permesso di seguire il corso di danza classica sin da piccola, quindi facile sperare di poter diventare una professionista come la Fracci.
Certo, non avevano tanti soldi. Ma quante storie conosceva di ragazze che, dopo tanti sforzi, sfondavano e diventavano ballerine? Perché per lei sarebbe dovuto essere diverso?
Nonostante i vari provini, però, era necessario guadagnare qualche soldo. La mamma non stava sempre bene e, quindi, Sara avrebbe dovuto aiutarla quantomeno per badare al fratello più piccolo.
In bar si trovava bene. Riceveva le persone al bancone e spillava birre. Ascoltava le loro storie, sperando che fra loro capitasse un coreografo o chissachì del mondo dello spettacolo.
Ma capitò Bruno. Un giovane elettrauto che la considerava una dea e che restava in estasi quando lei ballava.
Lo sposò Bruno e fu felice per qualche anno. Giusto il tempo di iniziare anche un corso di recitazione e affrontare due aborti spontanei.
E benché la girandola dei provini continuava a seguire il vento delle possibilità, a quarant’anni Sara mise un punto fermo al suo matrimonio. Il Cielo non le aveva dato figli ma solo un marito con qualche problema d’alcool.
Come una gitana, lasciò casa e iniziò a vagabondare. E lì comprese che, forse, come risorsa Umana avrebbe potuto fare qualcosa di diverso e ripartire da zero.
 
Cosa è successo: Sara mi disse che aveva fatto male i conti con la realtà. Sognare una carriera artistica non corrispondeva a ciò che la sua vita le consentiva di raggiungere. Avrebbe dovuto fare i conti con gli addendi del presente e, magari, perseverare laddove la strada sembrava difficile.
Quando le chiesi perché facesse il mimo lei mi rispose:
-          Perché così ascolto me stessa e ascolto Milano. E la forza della mia concentrazione l’ho trovata in un libro che ti consiglio: “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di P.D. Ouspenky.
Quando lavoro, mi racchiudo in un angolo del mio essere e vi resto in silenzio e ascolto.
 
Cosa pensa oggi Sara: So solo che sono serena così e mi basta.