Mentre Virzì ripropone “I Promessi Sposi” versione musical, riscopriamo i travagli letterari di Marta Morazzoni nel suo “La nota segreta”
“Vista da qui, dal tavolo su cui scrivo, la nave è un giocattolo in un catino pieno d’acqua e nel giocattolo c’è una bamboletta vestita di nero rintanata in uno scomparto minuscolo sottocoperta”. Ed è da questa citazione che si rivela la stessa autrice, Marta Morazzoni, ai suoi lettori, nelle romanzate vicende di Paola Teresa Pietra, una giovanissima monaca di clausura per volere della famiglia, educata al canto per virtuosismo, nella dedizione impartita da una madre superiore del convento, Suor Rosalba, e turbata dalla conoscenza di un diplomatico inglese, John Breval, in missione per ordine dell’Arciduca d’Austria, e sconvolto anch’esso dalla timida 18enne che lentamente s’invaghisce dell’uomo. La volontà della stessa scrittrice diventa devozione prosaica verso il repertorio formativo che accomuna ogni autore, dai meandri scolastici che rivolgono particolari attenzioni al caro estinto Alessandro Manzoni, nel suo più plagiato capolavoro letterario degli ultimi tre (ebbene si) secoli, I Promessi Sposi, dove le vicende di Renzo e Lucia fanno da input romanzato, per volere stesso della Morazzoni, partendo dal breve documento intitolato Per Vim et Metum. Il caso di Paola Teresa Pietra, scritto nel 1991 da una docente di Storia della chiesa presso l’Università Statale di Milano, Paola Vismara, storia di una nobildonna milanese che ha affrontato con coraggio e determinazione la sua condizione, in cerca di quell’equilibrio diviso tra l’imposizione dettata dalla famiglia e il diritto di vivere la sua emancipazione di donna e madre. Percorsi letterari suddivsi dallo stesso Foscolo al Parini, al Prina a Antonietta Fagnani Arese, per congiungersi a Paola Pietra, appunto, nella scoperta della scrittrice del romanzo di Giuseppe Rovani, Cent’anni. Cent’anni di vita milanese, dal 1750 al 1850. La nota segreta è un bellissimo viaggio rinascimentale che rievoca ampi squarci di emotività nazionale, nella capacità di essere tramite tra i personaggi e il lettore, nelle pause calibrate come sospensione armoniosa di un tempo che pone gli stessi interrogativi, a quelle domande che sono per sempre coscienza di una moralità che varca il limite tra la letteratura senza confini (quanto di Orgoglio e Pregiudizio ci si rispecchia tra le imposizioni volute dall’epoca) e la realtà. Una maniera per riscoprire valori più profondi, che non necessitano di impedimento alcuno, come di certo si augura Marta Morazzoni...