Le correnti aniconiche nell’arte contemporanea.
Il riferimento a realizzazioni e a tendenze artistiche che rifiutano la corrispondenza formale della rappresentazione con l’oggetto reale rappresentato: pittura aniconica, le correnti aniconiche nell’arte contemporanea, mi ha fatto prefigurare una similitudine nelle opere di due artisti contemporanei prima ancora che io avessi potuto appurarne le singolarità. Dell’uno avevo letto un’intervista prima di visitare la rassegna personale; dell’altro avevo visionato un video di una performance nella fiera di Verona, ultima scorsa.
Vittima della sicumera, l’eccessiva fiducia, non tanto per velleità quanto per necessità: attempato neofita della materia sono portato a trascurare il fatto che ci sono molti ambiti della nostra esistenza su cui abbiamo un controllo molto limitato. Le carenze accentuano la presuntuosità che tale non vuole essere: piuttosto è ardire, audacia nell’indubitabile ricerca concettuale speculando magari sulla conoscenza implicita, e non solo. «…non dubito punto che tu non ti debbi maravigliare della mia presunzione sentendo quello per che principalmente qui venuto sono»[1].
È senza dubbio vero che la conoscenza implicita può diventare esplicita, e cioè quello che si trova nella mente dell'individuo può essere trasformato, convertito, in parole, in forma di conoscenza esplicita. Indicata con la locuzione inglese «conceptual art», nel linguaggio della critica d’arte, arte concettuale, è una forma dell’arte d’avanguardia contemporanea sorta negli anni sessanta del secolo scorso. L’ambizione di voler tentare la conversione della conoscenza, passare da un tipo di conoscenza «ad es. quella implicita» ad un altro tipo di conoscenza «ad es. quella esplicita», porta ad assumere quel comportamento disciplinato che induce a quell’istinto mutuante; per dirla con Dante: «l’arte vostra quella, quanto pote, Segue, come ’l maestro fa ’l discente»[2]. Poi ne deriva quasi sempre quel senso di appagamento e di soddisfazione che gratifica.
«Anikonici surreali» il titolo della personale di Gianfranco Sergio, eclettico artista calabrese trapiantato a Como, che espone alla Galleria Il Tramite di via Borgovico, apparentemente giocoso e disimpegnato in realtà radicato in un alveo artistico con uno sguardo distaccato dallo spontaneismo, interessato ed appassionato dell’arte seicentesca. Grosso modo così viene rappresentato in un’intervista al giornale, «La Provincia». E di seguito, Gianfranco Sergio spiega che queste figure, queste icone, in realtà siano aniconiche perché fungono da portavoce di un concetto profondo. Mi chiedo, andando a visitare la mostra, se le opere dello «sperimentatore audace ed indipendente» Shozo Shimamoto, così definito da Roberta Smith critico del New York Times, possano rappresentare lo stesso concetto profondo, e nel qual caso averlo influenzato. Un concetto che risulta difficile da afferrare con la mente, in quanto nascosto e poco evidente, ma proprio per questo più vero ed importante.
Shozo Shimamoto è un artista contemporaneo giapponese. Suoi lavori sono in collezione di diversi musei nel mondo. Internazionalmente noto anche nel circuito della «Mail Art», della quale è stato pioniere. È stato membro del movimento d’avanguardia Gutai, fondato negli anni cinquanta. Un movimento che con la sua teatralità ha influenzato enormemente l’arte contemporanea. Il suo stile, che comunque si delinea, prende forma appunto da questa considerazione aperta dell’opera, centro di esplosione e concentrazione di istanze sino a quel momento separatissime: come ad esempio lo sfregio, lo spazio, il quadro, la pietra, la macchina bellica, la pittura i passi.
Le opere di Gianfranco Sergio non sono mimetiche, non restituiscono la realtà tale e quale bensì la ricordano attraverso uno stravolgimento, il nonsense, come certe filastrocche antiche e pure significativamente, incredibilmente credibili… Lo spazio pittorico, essenzialmente organizzato su tela, raffigura costruzioni strampalate che, però, non crollano; sono macchine sceniche sbilenche, ma che restano in piedi: rese da assemblaggi di elementi incongrui dipinti con tratto leggero. Riprendo da «Le strane storie» di Barbara Martusciello e ne riporto la chiusa. L’arte, in fondo, è (anche) questo: un’opportunità di fornire o costringere a considerare un altro sguardo sulla realtà, sul mondo, dentro noi stessi, alla ricerca di qualcosa che ci sembrava irrilevante, che ci era sfuggito, che avevamo dato per scontato, di cui eravamo certi…
[1] Boccaccio: Novella Nona
[2] Dante: Inferno 11.03/05