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L'intervista personale

02/05/2008 11564 lettori
5 minuti
Introduzione
Da tempo soggetta a numerosi adattamenti tecnici, ingabbiata in limiti spazio-temporali specifici del medium in considerazione, l’intervista ha sempre esercitato un certo fascino agli occhi del lettore. Numerosi capi di stato, politici, scienziati, vip o presunti tali si sono lasciati scrutare in interviste più o meno profonde, cercando di stabilire un contatto col pubblico e accattivarsene le simpatie.
Con l’arrivo della radio prima e della tv poi, l’intervista, che fino ad allora era stata esclusivamente scritta, è costretta ad adattarsi ai tempi radiotelevisivi: sono scomparse le interviste in profondità, le lunghe risposte degli intervistati e, in generale, quel senso di completezza che delineava la figura di personaggi “a tutto tondo”. Nei radiogiornali e telegiornali in particolar modo, l’intervista è quasi sempre inframezzata all’interno di un servizio, dura solo il tempo di una breve, lapidaria, sommaria risposta e appare più come un elemento aggiuntivo che come un preciso genere giornalistico. Inoltre, ad essere privilegiate sono le storie, le cosiddette features, magari condite con un forte human interest, che possa tenere incollati al teleschermo milioni di persone.
Un’inversione di tendenza sembra però essersi registrata negli ultimi anni, ed in particolare nelle piccole emittenti o nelle emittenti con minori budget finanziari a disposizione per la realizzazione dei programmi. L’intervista in profondità (o quantomeno quella che ruota su un unico personaggio per un lasso di tempo accettabile) si è affermata in programmi televisivi di infotainment guadagnando anche un crescente successo di pubblico e di share. Le invasioni barbariche (La7), Che tempo che fa (Raitre), In ½ ora (Raitre), sono solo alcuni esempi che testimoniano una rinnovata attenzione all’intervista personale.
 
Intervistato ed intervistatore
Caratteristica comune a questi programmi è la centralità, anche come tempi di durata rispetto all’intera trasmissione, dell’intervista. In uno studio piuttosto scarno, con scenografie essenziali, certo non mastodontiche, l’attenzione è puntata su due figure centrali: l’intervistato e l’intervistatore. L’intervistatore accoglie l’ospite cercando di metterlo a suo agio, sottoponendolo a domande incalzanti e cercando di stabilire un contratto fiduciario per assicurarsi che l’invitato risponda alle domande. Alle invasioni barbariche, ad esempio, diverse volte Daria Bignardi ha offerto una birra ai suoi ospiti nel bel mezzo dell’intervista per cercare di creare un’atmosfera familiare, come se ci si trovasse al bar tra vecchi amici. Dall’altro lato risulta necessariamente obbligatorio che il conduttore stabilisca un rapporto di empatia col pubblico: un ammiccamento, un sorriso verso la telecamera, un cenno particolare sono tutti elementi che stabiliscono questo ponte virtuale di complicità tra intervistatore e pubblico a casa.
Una volta entrati in studio, i due protagonisti definiscono reciprocamente le loro posizioni. A sottolineare e rimarcare i ruoli dei due attanti interviene quasi sempre una componente architettonica: un tavolo, una scrivania, un frammezzo, elementi che creano una netta separazione tra chi fa le domande e chi deve rispondere. L’intervistato sa comunque che dalla sua performance potrà ricavarne risultati positivi o negativi; l’intervista potrà avvicinarlo maggiormente al pubblico, accrescendo quel senso di intimità col personaggio o, al contrario, provocarne una frattura visibile.
            L’atmosfera familiare, la sensazione di entrare a contatto con la parte più intima del personaggio viene marcata efficacemente da un sapiente gioco di inquadrature: piani medi (PM), figure intere (FI) e primi piani (PP) sono largamente usati per puntare l’attenzione esclusivamente sui due protagonisti, pronti a cogliere ogni emozione che l’intervistato, inavvertitamente, lascia trapelare. A differenza della carta stampata, infatti, il medium televisivo permette di cogliere le emozioni del personaggio, una frase detta con ironia, un imbarazzo, il tentativo di sottrarsi ad una domanda. Tutti elementi paralinguistici impossibili da cogliere in una intervista scritta, se non specificando qualche comportamento tra parentesi.
            Un altro particolare poco trascurabile è il rapporto tra i due attanti e la telecamera. Intervistato ed intervistatore si guardano sempre tra loro, mai uno sguardo in camera, che invece è tipico delle trasmissioni informative. L’intervista riprende l’imperativo del cinema (e delle fiction) di non guardare mai l’obiettivo: in questo modo lo spettatore ha la sensazione di assistere, quasi furtivamente, ad un dialogo senza tuttavia prenderne parte.
 
I temi trattati

In una tv generalista, specie in un contesto televisivo come quello italiano, risulta un po’ difficile affrontare temi impegnativi, soprattutto se il programma è collocato in una fascia oraria come il prime time in cui gli investitori pubblicitari richiedono il raggiungimento di una certa percentuale in termini di share. Occorre tenere conto, infatti, che «il cliente principale della televisione attuale non è il pubblico, ma gli investitori pubblicitari[1]». Più un tema è impegnativo, più l’attenzione richiesta al telespettatore diventa maggiore. Per questo, nel corso di queste interviste, alle domande ardue spesso si affiancano domande più leggere, si affrontano temi più frivoli, si chiede all’intervistato cosa fa nel tempo libero, con quale showgirl andrebbe a cena, o anche particolari aneddoti divertenti che possono appassionare il pubblico a casa, sempre avido di pettegolezzi. È il caso di Fabio Fazio su Raitre, conduttore sagace capace di improvvisare una battuta o cogliere le sfumature delle risposte date dal personaggio; o delle famose “pistole alla tempia”, domande leggere e veloci poste dalla Bignardi a conclusione delle sue interviste barbariche. Diverso è il caso di in ½ ora: collocato nella fascia appena dopo il telegiornale delle 14.20, il programma può godere del traino di un pubblico predisposto a ricevere programmi informativi e dunque anche a trattare temi più impegnativi. Qui siamo più vicini al programma di informazione vero e proprio che all’ibrido infotainment. Non a caso la conduttrice del programma, Lucia Annunziata, si discosta dagli altri due conduttori che mantengono sempre un certo margine di ironia, e predilige ospiti appartenenti al mondo della politica, dell’industria, della finanza italiana.

 
Il personaggio
Una buona porzione di share, e dunque di successo di pubblico, dipende in larga misura dal carisma e dalla popolarità dell’ospite intervistato. Statisticamente si è visto che un personaggio famoso, recentemente oggetto delle cronache, riesce a catturare l’attenzione dello spettatore intento a fare zapping col telecomando in misura maggiore rispetto a un perfetto sconosciuto. Per questo motivo, anche in politica si inizia a tenere in considerazione l’abilità di ammaliare i media, di intrattenere rapporti carismatici col pubblico, di riuscire con una buona dialettica ad accattivarsi le simpatie dei telespettatori. In una parola, oltre alle qualità politiche, occorre essere “telegenici”. Così oltre ai protagonisti della vita mondana, delle cronache rosa e dello star system, ecco che sulla sedia dell’intervistato si siedono scrittori, imprenditori, politici, banchieri, amministratori delegati, persone del calibro di Diego della Valle, Barbara Berlusconi, o Giulio Tremonti. A differenza dei talk show, dove in studio ci sono diversi ospiti, nelle interviste personali  face to face l’attenzione è puntata esclusivamente sull’intervistato, che come una vittima sul patibolo deve rendere conto al conduttore giustiziere.
 
Aspetti tecnici
Nonostante lo studio non richieda scenografie mozzafiato, il suo allestimento, sia per la parte “visibile” (floor) che per quella tecnica (control room), necessita di particolari accorgimenti. Nelle interviste più orientate verso l’infotainment è fondamentale la presenza del pubblico: una battuta efficace, un racconto appassionante diventano occasioni per staccare l’inquadratura dai protagonisti e girare sul pubblico che applaude o che ascolta attentamente. Durante il dialogo, invece, è quasi obbligatoria l’inquadratura di chi sta parlando, intervallando di tanto in tanto la conversazione con riprese lente che compiono una rotazione attorno ai due protagonisti. Da notare anche la presenza di schermi nello sfondo che inquadrano il volto della persona che parla mentre la telecamera stacca sul conduttore o inquadra l’ospite di spalle.
            In questo genere di programmi particolarmente ridotto è l’uso dello zoom: l’inquadratura difficilmente subisce restringimenti o allargamenti. L’intervistato viene ripreso spesso con telecamere fisse che in qualche modo enfatizzano e mettono in risalto l’attenzione verso ciò che sta dicendo.
            Anche il conduttore entra a far parte degli aspetti “tecnici” della trasmissione. Il gesticolare con le mani, le espressioni opportunamente intercalate nel discorso contribuiscono a definire una serie di elementi denotativi che veicolano un significato ulteriore. Vedere Fabio Fazio che si alza e stringe la mano all’intervistato, oltrepassando la barriera della scrivania, oppure Daria Bignardi che batte la mano sul tavolo, o ancora la Annunziata che si sporge in avanti, è un modo per creare un ponte, un punto di contatto con l’ospite senza tuttavia confonderne i ruoli.
            Un altro aspetto che influenza l’atmosfera dello studio è costituito dalle luci e dall’illuminazione complessiva. Un progressivo abbassamento delle luci in studio agisce come spartiacque, segnala cioè allo spettatore che si sta passando da un momento dell’intervista ad un altro, magari più personale e delicato. Anche la grafica aiuta il telespettatore a seguire meglio la trasmissione: sia nei due programmi di RaiTre che in quello di La7 viene riproposto ad intervalli quasi regolari un sottopancia con il nome dell’intervistato e la sua funzione (giornalista, segretario di partito, attore, scrittore, ecc).
 
Il tempo in TV
Una considerazione a parte merita l’argomento dei tempi televisivi. Come già è stato detto in precedenza, la televisione per le sue caratteristiche tende ad assumere un ritmo incalzante e dinamico. Come coniugare allora le esigenze di un’intervista in profondità con i tempi della TV? Emblematico è a riguardo il ruolo del conduttore. Un abile conduttore/giornalista riesce a formulare domande mirate e a ricevere altrettante risposte secche. Lasciare troppo spazio all’intervistato, facendo magari domande vaghe, può portare il dialogo verso il monologo: il telespettatore si chiederà se il canale televisivo sta trasmettendo un’intervista o uno spazio personale di un VIP. Inoltre, soprattutto nelle tv commerciali ma ormai anche in RAI, si devono tenere in considerazione gli spazi pubblicitari; per cui diviene più facile “tagliare” su una serie di domande brevi che interrompere l’ospite mentre sta raccontando un fatto, o un aneddoto particolarmente lungo. Tutto questo discorso, naturalmente, tende a ridurre la sensazione di assistere ad un’intervista in profondità, ma alla fine diventa un ottimo compromesso nel tentativo di conciliare le caratteristiche proprie dell’intervista “lunga” con quelle del mezzo televisivo.
 
Conclusioni
Con l’affermarsi dei canali digitali, sia in ambito satellitare che in quello terrestre, assistiamo ad un proliferare di piccole emittenti private, spesso prive di palinsesto e linea editoriale definiti o comunque con budget finanziari a disposizione molto bassi. Per tutti questi motivi, e per la facilità di realizzazione, è molto probabile che queste emittenti faranno largo uso delle interviste face to face nei loro programmi. Visti i successi di queste trasmissioni, apparirà molto più conveniente investire su questo genere di programmazione che non sull’allestimento di trasmissioni imponenti. A trarre vantaggi potrebbero essere anche e soprattutto le emittenti locali e regionali, molto più ancorate nel territorio rispetto alle emittenti nazionali e quindi più vicine ai desideri dell’audience: vedere un’intervista in profondità del proprio sindaco, dell’eroe cittadino del momento o del comico locale, porterebbe verosimilmente a un aumento dell’audience e ad una maggiore fidelizzazione del pubblico verso l’emittente.
            La rinata attenzione verso questo genere, anche da parte dei grandi network, tuttavia testimonia un rinnovato interesse verso l’intervista personale, più che verso quella tematica. Dagli anni ’80 - ’90 ad oggi, in tv si sono moltiplicati i talk show, che utilizzano la ormai consolidata formula che prevede un tema diverso ad ogni puntata, degli ospiti, e un conduttore che cerca di tessere le fila di un discorso quanto più possibile scorrevole e lineare. Pensiamo ad esempio al Maurizio Costanzo show, a Porta a Porta, a Matrix, ecc. L’intervista personale in profondità era relegata in secondo piano e veniva utilizzata solo in occasione di grandi eventi, come l’esclusiva di un superospite, un testimone d’eccellenza e così via. Adesso invece l’attenzione è puntata su un unico soggetto, pronto a rispondere alle domande del conduttore nella tranquillità di una poltrona di uno studio televisivo.
            Se il genere dell’intervista è riuscito ad adattarsi anche al mezzo televisivo, occorre tuttavia stare attenti ad usare bene questo genere giornalistico: spesso l’intervista è un’arma a doppio taglio, un compromesso tra il giornalista bramoso di scoop e il potente di turno che si impadronisce del mezzo televisivo per veicolare un determinato messaggio. «L’intervista è un espediente con il quale si tende ad attribuire a qualcuno la responsabilità di qualcosa che il giornalista non ha il coraggio di dire. Oppure è un favore. Anzi è il tipico favore che il direttore di giornale o di telegiornale, pressato dalle insistenze di un potente, promette come compenso e via di uscita, affinché l’interessato abbia un suo balcone al quale apparire e dal quale dire esattamente e soltanto ciò che desidera dire[2]». Va bene dunque l’uso dell’intervista nei programmi più marcatamente di infotainment, ma occorre dosare il suo utilizzo nei programmi di informazione e nei telegiornali, dove il giornalista utilizza questo genere all’interno dei servizi, riducendo all’essenziale le domande e le risposte che spesso sono prive di obiezioni e di “seconde domande”.
Fabio Brocceri
 
 
 
 
Bibliografia
Menduni (2002), I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma-Bari.
Papuzzi (2003), Professione giornalista, Donzelli, Roma.
Colombo (1995), Manuale di giornalismo internazionale, Laterza, Roma-Bari.


[1] Menduni (2002), cit. p.126.
 
[2]Colombo (1995), cit. p.83.
Fabio Brocceri
Fabio Brocceri

Mi chiamo Fabio Brocceri, ho 25 anni e sono un Professionista della Comunicazione.



Nel 2008 mi sono laureato in Scienze della Comunicazione (Giornalismo) con 107/110 e una tesi in semiotica dal titolo L'immagine di Palermo tra politica e pubblicità".



Nel 2010 mi sono specializzato in Scienze della Comunicazione Sociale e Istituzionale con 110/110 lode e una tesi in semiotica dal titolo Comunicare l'energia - analisi semiotica degli spot Enel, Edison e Sorgenia.



Ho collaborato con il Giornale di Sicilia e La Sicilia scrivendo di cronaca.



Sono stato consulente di Comunicazione e Pubblicità per vari enti e docente in diversi corsi di Comunicazione e Giornalismo in varie scuole della Sicilia.



Attualmente mi occupo di Comunicazione presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze (Agenzie Fiscali).