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Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori. In incognito.

17/05/2007 19561 lettori
4 minuti

Spinosa questione quella dell’utilizzo di internet e degli strumenti informatici tra le mura dell’azienda per questioni che esulano dai compiti professionali.

Una sbirciatina al forum preferito, il ritocco ad un intervento nel proprio blog, una partita a quel giochino in flash così rilassante. Ed ancora, prolungate telefonate ai parenti, rilanci su ebay, due righe di chat all’amico lontano. Le tentazioni di svago offerte dal web sono davvero innumerevoli, ma quali sono, se ci sono, le contromisure adottabili da un azienda per “regolamentare” la prestazione dei propri dipendenti nell’adempimento delle mansioni lavorative?

Una sottile linea di demarcazione, peraltro facilmente superabile sia per il datore di lavoro che per il lavoratore dipendente, corre tra dovere di controllo dei primi e diritto alla privacy dei secondi.

Le direttive dettate dal garante sulla privacy prevedono che “i datori di lavoro non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali”.

Sembrerebbe dunque che, esclusi casi eccezionali di spionaggio industriale o di gravi pericoli potenziali per l’azienda, il datore di lavoro non possa far altro che aver fiducia dei propri dipendenti, pena la violazione della privacy dei subordinati in merito ai loro dei loro dati sensibili, facilmente desumibili dai contenuti dei siti visitati dal lavoratore o dai form da esso compilati on-line.

Il Garante ha però previsto una serie di strumenti, leciti, per prevenire la possibilità che il lavoratore utilizzi per la propria utilità il sistema informatico messogli a disposizione per le proprie mansioni. Innanzitutto l’adozione di regolamenti e codici di comportamento interni, redatti in concerto con i sindacati, che stabiliscano in maniera univoca le modalità di utilizzo di posta elettronica e programmi di navigazione. Fanno parte di queste “contromisure” la definizione di un elenco di siti considerati connessi, o comunque tollerati, con la prestazione lavorativa, l’utilizzo di firewall e filtri che impediscano l’accesso a determinati indirizzi web (la canonica black list).

Ma il Garante va anche oltre questa serie di norme preventive, prevede infatti, nel caso in cui queste non fossero sufficienti ad evitare comportamenti anomali, una serie di step graduali a disposizione del datore di lavoro, delle vere e proprie verifiche “a cascata”.

Si parte da verifiche di reparto, si prosegue con quelle di ufficio, si conclude con verifiche di gruppo di lavoro, così da circoscrivere senza ombra di dubbio il nucleo dal quale provengono i campanelli d’allarme.

Ogni fase di controllo, a cominciare dalla prima, dovrà essere comunicata ai dipendenti e, una volta identificata la cellula “disubbidiente”, e solo qualora le anomalie continuassero a verificarsi, diverrebbe lecito abbandonare i controlli a base anonima e passare a quelli su base individuale.

Questo, a grandi linee, quanto stabilito dal Garante, fatto salva, in ogni caso, il rispetto del segreto professionale per determinate categorie, basti pensare ai giornalisti ed alle loro fonti.

Ma c’è un risvolto che, in molti casi, risulta difficile da regolamentare in maniera sistematica. Se infatti la limitazione alle “navigazioni a vele spiegate” dei dipendenti trova le sue ragioni di essere nella diminuzione della produttività in orario di lavoro e quindi nella diminuzione della quantità di prestazione professionale erogata nei confronti dell’azienda, non v’è alcuna base scientifica che indichi quanto questo vada ad inficiare sul livello, sulla bontà, sulla qualità della prestazione. E se fosse invece il contrario? Se l’occhiatina a quella pagina, magari Wikipedia, se la lettura di quel forum, se le due righe di chat o il giochino veloce in flash di cui sopra servissero proprio a ricavare energie mentali, impulsi, stimoli e creatività riutilizzati immediatamente sul luogo di lavoro? Se così fosse la navigazione non sarebbe soltanto tollerata ma tacitamente desiderata dal datore di lavoro, piccole pause tese ad ottimizzare il clima psicologico ed i risultati aziendali. Una sorta di coffee break del Terzo Millennio o una rivisitazione della filosofia dell’Otium di Seneca, quel tempo dedicato all'arricchimento culturale e spirituale, quell’oziare deputato a migliorare la qualità della vita (e per estensione del lavoro).

Niente di scientifico neanche in questa “visione”, ma vale la pena dedicarle una breve riflessione, in fondo, pur volendo attuare controlli da “Grande Fratello” – e non quello televisivo – tra programmi di messaggistica nascosti in minuscole drive pen - Gaim Portable e Miranda -, software che non lasciano alcuna traccia di navigazione – Anonymizer.com - e “Boss Key” (tasti speciali che, appena pigiati chiudono all’istante eventuali finestre aperte nascondendole ad occhi indiscreti), non mancano gli strumenti a disposizione dei dipendenti più smaliziati per aggirare ogni divieto.

Uno su tutti? viene proprio dal web (www.workfriendly.net), digitando un indirizzo internet all’interno dell’apposita barra, questo viene aperto come se fosse un documento word. Provare per credere.

Dura la vita per i capi del personale.

 

Piero Fittipaldi

fonte per la normativa sulla privacy: www.garanteprivacy.it

piero fittipaldi
piero fittipaldi

Aspirante copywriter, portfolio al sito linkato.