Musica on-line (2), indagini o privacy?
Abbiamo parlato recentemente delle tematiche principali della musica on-line, ci torniamo però per parlare di alcuni sviluppi, interessanti ma problematici, nella lotta contro gli scambi illegali di file. In Danimarca un gruppo antipirateria ha utilizzato un software, realizzato dagli sviluppatori dell’università locale, in grado di tenere traccia di operazioni realizzate grazie a siti di file sharing.Il programma, ha permesso di identificare gli indirizzi Ip degli utenti che hanno scambiato illegalmente file musicali e di sapere anche quali e quanti file ha condiviso ciascuno.
Il gruppo ha fornito poi questi dati a un tribunale, che ha chiesto ai provider di fornire i nomi degli utenti ai quali corrispondevano gli indirizzi Ip e poi ha inviato ai soggetti coinvolti la notifica dell’avvio delle indagini oltre a una fattura di circa centomila euro da dividere fra circa 150 persone (e pare che 75 di loro siano disposte a pagare).
Questi soldi sarebbero da intendere come giusto compenso da versare per tutti i download illegali o anche come una sorta di richiesta danni per i copyright ignorati.
Dal punto di vista legale però le cose non sono così semplici.
Il problema non è contestare il reato a chi preleva file coperti da copyright ma raccogliere i dati in Rete, infatti i numeri Ip non si possono trattare liberamente perché non sono reperibili in un elenco pubblico.
Lo stesso Garante della privacy Stefano Rodotà spiega che il soggetto che esercita un’attività illegale in Rete si espone al rischio dell’identificazione.
Una volta individuati i comportamenti illegali però il materiale deve essere consegnato all’autorità giudiziaria e, a questo punto, il privato si deve fermare.
Non è dunque possibile continuare con le indagini e raccogliere materiale che, al limite, potrebbe anche essere utilizzato per ricattare i soggetti coinvolti nello scaricamento illegale.
Certo a discografici e major non dispiacerebbe un osservatorio permanente sul traffico di musica on-line, cosa che tecnicamente sarebbe possibile considerando che il software peer to peer è in buona parte open source.
Secondo il Garante però l’unico soggetto qualificato a richiedere ai provider dati privati è l’autorità giudiziaria.
A differenza di quanto sostengono i discografici quindi non è possibile parlare di “interessi legittimi” e “soggetti qualificati” per le indagini, perché si rischierebbe di consentire interventi ai più differenti soggetti.
In effetti poi quanto avvenuto in Danimarca è a metà strada tra una richiesta di danni ed una semplice fattura, con la minaccia del tribunale solo per chi non avesse pagato.
In più i cacciatori di pirati sono andati a dimostrare il fatto che i file sono stati scambiati, non la loro presenza sul disco, difficile da colpire viste le leggi, diffuse in tutta Europa, sulla possibilità di farsi una copia privata.
Certo l’argomento è spinoso, perché se da un lato è legittimo tutelare gli interessi di chi non vuole che i propri prodotti (anche film, software, videogiochi) siano condivisi illegalmente dall’altro si potrebbe creare un pericoloso precedente rispetto alle indagini in Rete.
Nella realtà infatti l’idea di essere irriconoscibili su Internet è vera solo in parte, perché a tutte le risorse in Rete (compreso il nostro pc) è associato un numero Ip, una stringa numerica che, come abbiamo detto, può essere individuata. Ritengo dunque che non sia accettabile che soggetti non istituzionali possano poi risalire ai dati che stanno dietro queste stringhe, perché ciò renderebbe assolutamente insicura qualsiasi operazione sul Web.
Ben venga quindi il controllo, ma solo a patto che siano soggetti giudiziari e ben individuati a poterlo compiere.