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Crescita, decrescita e simili paradossi.

25/03/2015 9575 lettori
5 minuti

L’area espositiva è stata progettata per accogliere le tecnologie più avanzate. Ecco come sarà visitare il sito di Expo Milano 2015: un’esposizione «smart». Intelligenza certa ed ingegnosa: un piano sagace. Così almeno era la prospettiva, quasi che fosse scienza infusa, nel periodo del conseguimento dell’evento. Dopo di che al quesito: «si è sicuri che nelle città intelligenti vivranno cittadini felici?» tergiversai e mi esercitai in un immaginifico componimento: «un viaggio in un meriggio d’estate nella mia ubertosa terra».  Non sono solito indugiare su un argomento sia pure esso ostico, per poi abbandonarlo senza essermene fatto un’opinione.  È il caso delle città intelligenti, della crescita e decrescita postulandone la felicità intrinseca.  Continuo a farlo con l’uso dell’amata Antologia: uno strumento molto antico di raccolta testi estratti da opere più ampie.

Ci sono momenti in cui la discontinuità storica chiede innovazione di pensiero. Questo è uno di quei momenti. La crescita è il processo che incanala l’energia psichica individuale all’interno del sistema economico, come scrive Mauro Magatti nel suo libro illuminante La grande contrazione[1], (da cui molti di questi spunti sono tratti) mettendolo al servizio dello sviluppo sociale e umano, e anche per questo la crescita implica sempre una variabile biologica, psicologica, concettuale, spirituale. «In questa prospettiva, lungi dalle prescrizioni che pretendono di sostenere l’idea secondo cui gli esseri umani debbono iniziare a ‘desiderare meno ’, il problema è riaprire il movimento che anima il cuore dell’uomo libero in rapporto agli assetti istituzionali che contribuiscono a delinearne la forma» scrive sempre Magatti. «In questo modo bisognerà ripensare la natura stessa della crescita, creando le condizioni per una nuova economia psichica, meno dissipativa e distruttiva, più costruttiva e relazionale, capace di riconciliare ciò che è stato separato: economia e società. Il tema al centro della riflessione diventa allora una nuova produzione del valore: intrecciare la domanda di felicità individuale e di autenticità con la sostenibilità ambientale, l’equità e la giustizia sociale, all’insegna di una relazione consapevole.

La crescita personale con quella sociale. Ripensare la crescita comporta un nuovo atto d’intelligenza, creando nuove condizioni economiche, sociali, culturali e istituzionali». E quest’atto d’intelligenza può basarsi solo sulla visione di una sinistra rigenerata, lontana dai populismi ma anche dai blocchi ideologici, vicina alla vita reale ma anche in grado di nutrire nuove utopie, come ha sempre fatto, anche se con errori drammatici, naturalmente. Un’esperienza immersiva in Africa Nera, visitando villaggi e comunità, sarebbe rivitalizzante per tutta la sinistra europea, che rischia di essere spocchiosa e saccente, senza mai sporcarsi davvero le mani, perdendosi invece nella politica dei salotti o – sul versante contrario – nei ribellismi sterili e negli estremismi da strada. Morace presenta il libro «Crescita Felice».

Riflessioni su un modello socio-economico che si basa su condivisione e fiducia. E che non può prescindere dalla sostenibilità. Sullo stesso tema, pronto un Festival che potrebbe guidare il pensiero dell'Expo. «Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano», cantavano Ornella Vanoni e Memo Remigi, con il sottinteso luogo comune di una città che non ascolta il cuore. La canzone è rimasta un po’ l’inno allo stupore di quanti, viceversa, si accorgono che il capoluogo lombardo, nonostante la sua scorza di città operosa, nasconde un’anima profonda sotto la nebbia e l’isteria da lavoro. Ed è bello (inteso estetico ed etico) immaginare che Milano si possa regalare un messaggio di felicità. Il concetto di crescita felice di Morace[2], infatti, è la rappresentazione socio-culturale di un modello socio-economico necessariamente e convintamente sostenibile. La «felicità» di Morace, infatti, è il risultato di un ribaltamento di priorità che vedono condivisione e fiducia sostituirsi a competizione e controllo.

 

 

 

 

Fonti: la rete

Immagine: peter bruegel- torre di babele

 


[1] Partendo dalla ricostruzione critica del modello di sviluppo affermatosi negli ultimi vent'anni, il libro approfondisce le origini culturali e sociali della crisi in atto. Il tema è affrontato da una domanda di solito rimossa: come mai, dopo un lungo periodo di crescita, i paesi occidentali si ritrovano indebitati, invecchiati, disuguali e depressi? Di là dagli aspetti finanziari ed economici, la crisi segna la fine del tecno-nichilismo. Per quanto faticosa, difficile e rischiosa, la crisi tuttavia è anche un'opportunità. Il problema non si risolve semplicemente attraverso interventi tecnici, ma tornando a chiedersi che cosa sia la crescita. Ciò è possibile a condizione, però, di mettere in discussione l'immaginario della libertà che si è affermato nei paesi occidentali, imprigionato in una concezione radicalmente individualista. Iniziando da qui si può cominciare a declinare diversamente il rapporto tra economia e società, superando un'economia basata sul consumo per entrare in un'economia basata sul valore.

 

[2] Nel libro Crescita felice. Percorsi di futuro civile, edito da Egea, Francesco Morace racconta come il concetto di crescita esprima la speranza responsabile per la costruzione di un futuro migliore, sganciato dalla progressione lineare e materiale dei nostri standard di vita, non più sostenibile. Crescita felice contro nuovi oscurantismi. Ovvero la speranza per la costruzione di un futuro migliore in cui anche il consumo, rivoluzionario, liberatorio ed evolutivo, combinandosi con una visione sostenibile e condivisa del mondo, si rivela occasione vitale e felice, contro tutti i fondamentalismi. La tensione verso la crescita è biologica: crescono i bambini, crescono le piante e tutti gli organismi viventi. La crescita non può e non deve rappresentare un problema, se riesce a evitare un modello di sviluppo aggressivo, solo finanziario, non sostenibile.

 

Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.