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Quality Lobbying

23/11/2010 18170 lettori
5 minuti

 

 

 

 

Siamo tutti impegnati in un quotidiano complesso. I livelli delle più consuete relazioni e degli specifici rapporti professionali si sono moltiplicati sia in modo orizzontale che verticale.

Le distanze, in senso opposto, si sono ridotte e non solo attraverso le tecnologie: non esiste più un “locale” conosciuto e sicuro in cui rifugiarsi; l’informazione ed in generale tutto il sistema delle comunicazioni si è posto prepotentemente al centro di ogni sfondo personale, aziendale, privato e pubblico e, infine, del complesso organismo che noi chiamiamo Stato.

Conosciamo il mondo attraverso degli schermi, concludiamo affari attraverso gli stessi schermi, prendiamo le decisioni sulle nostre aziende e sulla nostra vita ancora sulla base di ciò che compare in queste piattaforme sempre più fluide e virtuali.

I notiziari televisivi e dei new media formano l’agenda sia generale che specifica cui nostro malgrado siamo e saremo soggetti, arrivando nel caso dei secondi a ricomporre persino nuovi scenari “tribali”.

In tutto questo, paradossalmente, il senso di incertezza aumenta, visto che non passa un solo giorno in cui non si ponga in risalto l’inadeguatezza dell’intero sistema ed in esso in particolar modo della politica (di tutta la politica, organizzazione-persone) rispetto alle dinamiche sociali ed economiche e senza che vengano citate le situazioni critiche delle piccole e medie unità produttive da un lato, i problemi di radicale riassetto della grande industria dall’altro, infine la pervasiva, straripante, spesso abusata e mal utilizzata forza della finanza.

 

Ogni organizzazione così è toccata sia dal clima economico e politico che si “respira”, sia dalla efficacia - sarebbe meglio dire dalla inefficacia - della governance, che ora si definisce ed interviene in una dimensione realmente multilivello.

L’ordinamento, vale a dire il quadro di riferimento formale, anziché semplificarsi si rende più complesso: nelle procedure formative che acquisiscono sempre maggiori specificità tecniche,

negli iter e nelle compilazioni che subiscono delle “piegature” anomale, nelle incerte gerarchie

e nell’impossibile coordinamento delle fonti, nelle obbligatorie (ma costantemente omesse) valutazioni di impatto, preventive e successive.

Sul piano operativo, per quanto concerne gli interlocutori, prima esistevano i fornitori, i clienti ed i dipendenti, oggi ci sono gli stakeholders, termine da terzo millennio che sta semplicemente ad indicare che vi é attorno all’impresa - ma persino al mondo no profit - una moltitudine di soggettività organizzate singolari e collettive, portatrici di specifici interessi, che possono avere pesante incidenza sulle sorti della stessa.

Non più solo mercato, ma sempre di più pre-mercato, non più solo compra-vendita di beni o servizi, ma veri e propri giochi di potere, poteri piccoli e poteri grandi, ma pur sempre poteri.

Forze a volte aggregate e concordi, a volte in antagonismo, altre ancora in netta contrapposizione.

 

Questo è il mondo in cui deve muoversi con dignità, professionalità, etica inattaccabile una figura professionale in realtà antica ma oggi “ridisegnata” e specificamente individuata: il lobbista.

Ormai si sprecano i saggi che descrivono la storia più recente di questa che si potrebbe definire una vera e propria funzione-professione, a partire dalle vicende e dalle prassi nord americane; quello che è meno detto e spiegato è che si tratta di un profilo che si realizza non in termini assoluti ma per un determinato contesto e in un determinato momento storico.

Definire chi è il lobbista o chi dovrebbe essere oggi nel nostro paese quindi non è cosa di poco conto; stabilire quale deve essere lo statuto formativo e operativo di questa figura sotto ogni aspetto strategica è questione essenziale persino rispetto al mantenimento delle garanzie democratiche delle funzioni legislative e di governo sia generali che locali.

Il quadro delle modalità di rapporto stato-mercato, o se si preferisce, politica-affari, e la condizione  dei soggetti che in esso agiscono dovrebbe essere iscritto in una posizione alta nell’agenda politica e ancora di più comparire in modo prepotente negli obiettivi strategici e nella mission delle associazioni categoriali, corporazioni e networks economici di vario tipo.

In particolare quando i due termini di confronto sono l’uno pubblico e l’altro privato c’è un bisogno assoluto, impellente, di sapere chi si rapporta con chi, come, dove, quando, con che finalità e con che mezzi.

Questo alla fine è anche il senso ultimo delle replicate proposte e disegni di legge - quasi mai esattamente pertinenti e centrate - miranti a disciplinare il fenomeno della rappresentanza di interessi presso il decisore pubblico, nonché della richiesta di trasparenza che costantemente emerge dagli ambienti più emancipati riguardo a queste tematiche.

Omettere precisi interventi in tutto ciò è politicamente colpevole, significa accettare passivamente che il livello etico dell’intero sistema economico nazionale slitti verso una deriva che con le regole legali e del mercato ha molto poco a che fare.

Come risalta dalle cronache: “dossieraggio”, “faccendierismo”, avanspettacolo e mazzette, questo è il prezzo che si continuerà a pagare in assenza di una presa di coscienza della necessità di stabilire regole o, meglio ancora, autoregolamentazioni (rigide e sanzionabili) all’azione di chi agisce in una posizione pubblica e politica in rapporto con un privato o, all’opposto, di chi interviene verso un pubblico potere per sostenere e sviluppare i propri interessi.

 

In questo quadro il lobbista è figura centrale, mediatore e connettore, costruttore o distruttore.

Il lobbista può essere in house o a contratto, può solo indirizzare e formare o agire in prima persona, può consigliare o persino imporre la propria logica, in ogni caso resta la figura centrale della leva-scambio pubblico-privato.

Ciò che fa il lobbista per il suo committente spesso diventa legge, e se non diviene tale resta pur sempre nella stratificazione linguistica (frames) di una rilevante tematica economica o sociale.

Contenuti che possono passare dalla politica d’impresa ad una public policy.

Si potrebbe dire che la funzione è istituzionalmente strategica, quantomeno perché integrativa del processo decisionale pubblico, se vogliamo “sussidiaria”.

Non si puo’ dunque lasciare al caso la specificità formativa di tale operatore.

Tantomeno la condizione etica che inevitabilmente si ricollega a quella scientifica ed intellettuale.

La componente informativa e relazionale, come più volte è stato evidenziato, non è trascurabile, ma si deve ricordare che si tratta di elaborare e portare contenuti; il lobbista è un consulente nel senso più pieno del termine.

Assodata la collaborazione istruttoria con i tecnici del settore per quanto concerne le esigenze della produzione e dei servizi delle imprese o delle organizzazioni per le quali opera, resta in primo luogo la necessità che il lobbista conosca gli strumenti tecnico-legali di governo dell’economia sia a livello micro che macro, nonché le dinamiche decisionali reali all’interno degli apparati, il formarsi ed il divenire delle politiche pubbliche.

Si tratta dunque di un bagaglio conoscitivo in primo luogo giuridico e politologico, cui non può

non far seguito quello economico e comunicazionale.

 

Focalizzare tutto questo sarà uno dei fondamentali compiti delle associazioni professionali degli esperti in public affairs, cosa che potrà essere fatta non tanto attraverso l’imposizione di rigidi percorsi formativi o mediante l’apposizione di vincoli all’entrata - esclusi quindi albi e antiquati istituti ordinamentali - ma attraverso sequenze di identificazione e legittimazione, una sorta di benchmark associativo che ponga in evidenza “chi”, e dove si sviluppino punti di merito ed eccellenza.

Nella possibile diversità ed atipicità dei mandati, dovrà trovare in questi casi sempre pieno valore

e tutela associativa il dettato del codice civile riguardo al compenso che spetta al lavoratore intellettuale per le prestazioni rese, che dovrà essere adeguato all’importanza dell’opera e soprattutto, nel nostro caso, al sostanziale ed energicamente affermato decoro della professione.

Logica conseguenza: una forma libera ma solerte di vigilanza attuata per scongiurare l’inserimento in un tale contesto di infiltrazioni malavitose e ancor di più il crearsi di situazioni di sovrapposizione e incompatibilità, tra le quali il più noto e diffuso fenomeno del revolving door.

Da questa espressione, che sintetizza efficacemente la prassi diffusissima non solo nel nostro paese di far agire nel campo degli affari pubblici ex deputati, senatori, consiglieri, politici di vario livello perché considerati “addentro” il potere e quindi efficaci, si può partire per denunciare nuovamente l’assoluta mancanza di volontà del nostro legislatore di porre mano ad una disciplina delle relazioni istituzionali.

Informazione, trasparenza, partecipazione, petizione sono parole che risuonano in modo sgradevole, persino sinistro, nell’ambito di una classe politica che non ha mai accettato nemmeno di porre le regole basiche del “suo” gioco e che predilige per la propria azione quotidiana spazi sempre più “vuoti di diritto”.

Salvo un improbabile ripensamento strutturale del quadro istituzionale e dell’apparato pubblico allargato, salvo l’introduzione di una più improbabile legge che disciplini l’essenza ed i limiti dell’azione dei partiti, non c’è da aspettarsi alcuna seria risposta dal mondo politico riguardo alla dinamica relazionale di cui stiamo trattando; al contrario la politica va a presentarsi sempre più come luogo di trattazione e cura di interessi molto particolari ed area consociativa verticalizzata per l’espressione di un lobbismo improprio e deviato.

 

Dinnanzi ad uno scenario di questo tipo non certo confortante, esiste una via d’uscita ?

L’operatore economico - analogamente un’organizzazione no profit - che vuole intervenire in una politica, in un processo legislativo, in un procedimento di amministrazione attiva ad “armi pari” con gli altri protagonisti presenti e su di un piano garantito di equivalenza e di ascolto può sperare che questo accada ?

Chi giovane o meno giovane crede di poter operare in quest’ambito con una specifica qualifica professionale e investe su se stesso presentandosi come specialista delle relazioni istituzionali

può sperare in qualcosa di nuovo, in un’affermazione chiara e universalmente riconosciuta e socialmente accettata di questo ruolo ?

La riposta è affermativa e potrebbe venire proprio dal mondo associativo e dai diversi networks.

Dall’associazione dei lobbisti, per quanto ci riguarda, e dalle organizzazioni imprenditoriali e professionali, come nuovi “attori creativi” e non più supinamente adattati e condizionati dal “campo politico”.

Un associazionismo professionale democratico e pluralista, forte, autonomo e consapevole potrebbe diventare una delle chiavi di volta per superare l’empasse in cui il legislatore sia nazionale che regionale ha fino ad ora mantenuto la “partecipazione informata” ai processi regolativi dei gruppi sociali ed economici non privilegiati.

Abbiamo avuto dal dopoguerra un’affermazione piena, sovrastante, di quello che in termini benevoli è stato chiamato “il tavolo della concertazione”; tutti coloro che hanno operato nelle più tipiche micro-comunità produttive italiane ne conoscono gli effetti non sempre propizi.

Oggi è dalla singola impresa, dalle forme associative minori di questa - ma non per questo meno strategiche - , che ci si aspetta l’innovazione, anzi l’auto-innovazione anche nel campo delle relazioni con il sistema politico.

Del resto appare sempre più evidente la necessità di dare maggior rilievo al dato sostanziale della valenza ed utilità del contributo (“rispettabilità, funzionalità, autorevolezza, prossimità”), più che alla ipotetica rappresentatività.

Così per la cura degli affari pubblici, non più faccendieri veloci di passo, ma lenti di ragionamento e soprattutto privi di ogni retaggio etico. Al loro posto personale qualificato inserito in un contesto formativo, professionale ed organizzativo di eccellenza e garanzia.

Consulenti che “aiutino le imprese a far politica,(in modo etico, legale e trasparente) a ricostruirla, non a influenzarla così com’è(1).  

Il lobbista inteso dunque come partner dotato di “un insieme insolito di competenze(3), di una “visione ricostruttiva” capace di aiutare l’organizzazione economica – o no profit - ad intervenire con specifico peso e lecitamente sul mercato e prima ancora sull’intero campo di azione, per l’espressione di una “nuova (diversa) logica competitiva(2) .

Così pure la predisposizione di codici etici e procedimentali autodeterminati e vincolanti per focalizzare modi e luoghi dell’incontro con le istituzioni e la politica.

Codici interni che non sarebbero altro che la necessaria integrazione di quelli già in via di diffusione che vincolano l’impresa ad una precisa responsabilità sociale.

CSR (Corporate social responsibility) e lobbying non sono mondi lontani, deve restare ben fissata nella mente dell’imprenditore come del “suo” lobbista la regola aurea, vale a dire che la cura di interessi particolari non può in alcun caso arrecare danno sociale, al contrario dev’essere operazione di integrazione e di beneficio per l’organizzazione rappresentata e per l’intero contesto in cui essa opera.

Con più semplice espressione si vuol dire che ogni organismo economico o sociale adeguatamente strutturato oggi, senza attendere oltre, dovrebbe rendere pubblico con i mezzi più idonei non solo lo stato dei rapporti con i propri stakeholders, ma allo stesso modo quello di ogni possibile azione ed intervento presso il decisore pubblico, di ogni livello e configurazione.

Qualità della produzione, qualità dell’organizzazione aziendale, qualità nel mercato, qualità nel sociale ed ora anche qualità nelle relazioni istituzionali.

Un marchio implicito di garanzia per ogni interlocutore, un fattore competitivo da aggiungere per posizionarsi e distinguersi da realtà più arretrate e vincolate ad un mondo ed a delle prassi anacronistiche alla fine inesorabilmente fallimentari.

Dunque autodeterminazione, autoregolamentazione, professionalità, merito, diffusione spaziale, attualizzazione delle funzioni, questo è ciò che potrebbe portare la rappresentanza di interessi ed il lobbismo italiano in una posizione persino più trasparente, libera ed emancipata delle forme conosciute nel continente americano, riportate oggi invero con eccessiva semplificazione in sede comunitaria.

 

Maurizio Benassuti

 

 

 

(1) (Micucci 2010 - Lippmann 2004).

(2) (Primavera 2010).

(3) (Cattaneo Zanetto 2007)