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Imprese, politica, istituzoni.

27/08/2009 20035 lettori
4 minuti

 

 

In Italia, fuori da alcuni ambienti che vorremmo definire emancipati e dalle esperienze di alcune più rilevanti organizzazioni economiche, l’azione professionale di rappresentanza di interessi (lobbying) continua a suscitare una mal celata diffidenza.

In effetti nel nostro paese l’assetto complessivo dei rapporti stato-mercato non è mai stata cosa di facile approccio. Non è casuale che fino ad ora nessuno dei tentativi di regolamentare in modo specifico gli aspetti più prettamente operativi e professionali di questa relazione abbia avuto successo, trovando una costante resistenza nelle forze di governo nazionali e locali.

A parte la rilevabile presenza di “poteri forti” poco interessati alla trasparenza, nella nostra cultura politica permane un atteggiamento che, se per molti aspetti e dati di esperienza appare fondato, risulta comunque  piuttosto ipocrita: quello di evitare di definire e toccare con scelte di fondo o con una razionale disciplina il fenomeno.

Si tende così sostanzialmente a negare l’esistenza della possibile, a volte molto marcata, azione generale di “pressione” degli interessi organizzati e l’incidenza della stessa; così pure restano poco evidenziate le specifiche iniziative assunte rispetto alle strutture pubbliche ed al corpo politico da parte di aggregazioni portatrici di interessi sia categoriali che territoriali (lobbies).

Allo stato delle cose non esiste alcun riconoscimento politico e legale di questa relazione e della funzione esercitata dai portatori di interessi nei processi decisionali pubblici, tantomeno di quella che sempre più si dovrebbe delineare come una vera dimensione professionale interna o commissionata: quella del lobbista.

All’opposto, ciò che ha attinenza alla rappresentanza degli interessi diventa spesso oggetto di reticenza se non di voluta omissione.

Le sedi politiche nazionali e regionali, nonché gli uffici degli esecutivi e relativi corpi burocratici, sono in realtà affollate da operatori delle cosiddette relazioni pubbliche, ma nell’ufficialità definire tutto questo propriamente lobbying è fuori discussione. Il termine lobby inserito in questo contesto risulta ancora essere una parola con significati e rappresentazioni molto discutibili, quindi bandita dal linguaggio in uso.

Una differenza sostanziale dalla situazione di oltre-oceano cui spesso si fa riferimento, dove non solo troviamo una ricercata disciplina, ma anche svariate indicazioni in atti di natura pubblica sulle modalità organizzative dei gruppi di pressione (es. PAC) e le relative azioni di lobbying con le sue articolate forme ed espressioni.

Negli Stati Uniti, per favorire la trasparenza di questa dinamica, dall’interno degli organi legislativi e governativi vengono diramate notizie aggiornate e posizioni puntuali di legislatori e decison makers su materie e questioni importanti per l’economia e la società americana.

Nelle democrazie più articolate e consolidate quindi le attività di rappresentanza di interessi, salvo sempre possibili comportamenti illegali, tendono a svolgersi alla luce del sole, tanto da essere disciplinate prima ancora che dalla legge da prassi e codici di autoregolamentazione che toccano entrambe le parti coinvolte.

Le più recenti tra queste iniziative, che sono arrivate a lambire gli ambienti comunitari europei, riguardano delle organizzazioni finalizzate al miglioramento dei rapporti tra mondo politico ed affari il cui scopo principale è quello di stabilizzare il dialogo tra i due ambiti e gestire processi di formazione ed informazione reciproca tra eletti, imprenditori ed amministratori pubblici sulle rispettive attività e funzioni.

In realtà nel nostro contesto al di fuori di puntuali orientamenti disciplinari e sedi di confronto più o meno istituzionalizzate come queste ci sono forti rischi che le intenzioni di chi ricerca, sia pure con le migliori intenzioni, il contatto con gli organi pubblici siano travisate e che le occasioni d’incontro offrano il pretesto per tentativi di strumentalizzazione o, peggio, per attività consociative.

Così può accadere che se un'organizzazione di rappresentanza industriale o professionale proceda a promuovere un incontro con parlamentari o amministratori locali per esporre le proprie tesi su alcune politiche economiche, i media, assecondando gli interessi della propria parte,  presentino l’iniziativa come un raduno clientelare di affaristi e politici per la trattazione di questioni fin troppo particolari.

Il fatto è che in ogni caso il rapporto tra impresa e potere pubblico, anche per la forte incidenza di non edificanti fatti di cronaca, viene generalmente inteso come luogo di affermazione degli interessi del capitale in contrapposizione all’interesse generale e finisce per assumere una connotazione negativa.

Contro questo modo di porre le cose va sottolineato che la ricerca di un più stretto ma trasparente e per quanto possibile codificato collegamento tra economia e politica dovrebbe nascere essenzialmente dalla necessità di assicurare un costante e reciproco scambio di idee ed esperienze. L’assunto è che legislatori e governanti potrebbero trarre beneficio dall’apporto di chi opera nel campo economico per la pratica e l'esperienza vissuta dei problemi; mentre le imprese dovrebbero imparare a conoscere la complessità delle logiche e dei meccanismi di funzionamento degli organismi pubblici, in modo da rappresentare in maniera leggibile ed efficace anche in quella sede i quadri di riferimento e le proprie istanze.

Tutto ciò potrebbe essere un motivo per apprezzare ancora di più l’atteggiamento di avanguardia di quegli organismi ed associazioni imprenditoriali che volessero decidere oggi, senza attendere oltre, di assumere iniziative di autodisciplina e rendere note, pubblicandole sul proprio sito, o divulgandole con altri mezzi più tradizionali, le posizioni assunte su materie all’esame del decisore pubblico, in occasione di confronti privati e pubblici, specifiche audizioni ed eventuali concertazioni.

Il giorno in cui anche nel nostro sistema sociale ed economico si potrà dichiarare apertamente da entrambi i lati del rapporto l’esistenza di tavoli formali di confronto e dell’azione di operatori professionali di lobbying, nonché pubblicarne le cronache e gli esiti senza suscitare scandalo, avremo fatto finalmente un passo avanti sulla strada che porta verso un paese più moderno e democratico.