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Amarcord (3) - A pirate I was meant to be

29/05/2007 29956 lettori
4 minuti

A chi di voi avrà riconosciuto subito l’origine del titolo sarà già balenata l’immagine di un noto protagonista dell’immaginario videoludico collettivo: Guybrush Threepwood. Lo storico protagonista di Monkey Island, celeberrima saga targata Lucas, faceva la sua comparsa con la frase-culto “Voglio diventare un pirata”. Chissà se era lo stesso obiettivo dei signori colpevoli dei “misfatti” di cui vi andrò adesso a divagare.

Oggi come oggi, anche se hai speso 30 € per comprare un dvd originale, rischi la galera se lo inserisci nel tuo masterizzatore per farne una copia di sicurezza, a solo uso personale, da non condividere con nessuno. Parliamoci chiaro: nessuno subirà mai una retata per aver installato Emule sul proprio computer, ma è sempre bene ricordarsi che la legge c’è, e pende su tutti noi come una spada di Damocle pronta a trafiggerci tra assassini e stupratori. Ecco che ritengo quindi curioso soffermarsi su episodi di illegalità simili stranamente passati inosservati quando comunque i diritti sul copyright esistevano, anche se non erano al centro di continue polemiche; e di altri che invece ne hanno subito le conseguenze, in tempi in cui anche un bambino avrebbe saputo a cosa andava incontro. Ma andiamo con ordine.

All’inizio degli anni ’90 assistiamo al boom dei manga in Italia, e al conseguente consolidarsi delle due forze in campo che ancora oggi si dividono le maggiori fette di mercato: Star Comics e Panini (oggi Planet Manga). Ma oggi come allora non erano sole, anzi molti furono i precursori (ricordiamo la defunta Granata Press). Tra questi, una certa Editoriale Trastevere ebbe al suo attivo ben tre serie: City Hunter, Cat’s Eye e Be Free (ripubblicate oggi le prime due da Star Comics, la terza da Dynamic). Di grande formato, e con molte pagine, avevano però un difetto (oltre alla stampa mediocre): le traduzioni erano completamente inventate. Per cui non solo la storia stentava ad avere una certa coerenza e a seguire un filo logico, ma niente aveva a che vedere con l’originale. Ovviamente questo pone un forte dubbio sulla legittimità di queste pubblicazioni.

Facciamo un passo indietro: all’epoca in cui i cartoni giapponesi impazzavano sulle tre reti Mediaset (mentre oggi sono confinati nella sola Italia1 e sono spesso di dubbia qualità), il settimanale televisivo Tele+ cavalcava l’onda pubblicando ogni settimana un fumetto relativo alla serie più in voga. Tra gli anime trasposti su carta si ricordano Il mistero della pietra azzurra, D’Artagnan e i moschettieri del re, Robin Hood e molti altri. La particolarità stava nel fatto che nonostante vi fossero dedicate solo 4 paginette per volta, gli autori riuscivano sempre a chiudere la serie. Inoltre, se la memoria non mi inganna, non erano semplici anime comics, cioè fotogrammi originali arricchiti da balloon, ma erano completamente ridisegnati.

Questo trend dei fumetti apocrifi aveva già colpito il nostro paese al debutto delle serie robotiche. Protagonista assoluta nel corso degli anni fu una testata di cui già ho avuto modo di parlare, e che si è fatta notare non solo per la produzione casalinga di manga fac-simile, ma anche per la pubblicazione di originali a puntate: il Corriere dei Piccoli. Tra le tavole giapponesi (ricolorate per l’occasione) che trovarono posto tra le pagine della rivista vi erano quelle di Hello, Spank!, L'incantevole Creamy, Mila e Shiro. Ovviamente, a questo marasma di originali d’autore e falsi non da meno, si affiancavano anche i già citati anime comics. L’abitudine di sfruttare il successo dei cartoni in onda sulle reti nazionali continuò fino ai primi anni ’90, con la pubblicazione di fumetti made in Italy come il Conte Dacula o le Tartarughe Ninja. Le storie, scritte e disegnate dall’abile Dario Pennati, venivano poi passate regolarmente in mano ad altri autori, che ne diversificavano di molto lo stile, laddove Pennati era più fedele ai tratti originali. In particolare, la realizzazione delle storie del papero-vampiro vegetariano cominciò quando gli originali americani, già pubblicati, non furono più sufficienti.

L’argomento degli apocrifi italiani è molto vasto, e per approfondirlo vi rimando ai link sottostanti. Adesso facciamo un salto avanti. 1992: Akira, il capolavoro animato di Katsuhiro Otomo, tratto dal suo omonimo manga, arriva in Italia (con 4 anni di ritardo, ma se consideriamo la straordinarietà dell’evento di vedere un anime al cinema…). Per molti anni, l’unico modo per poter godere di questo gioiello dell’animazione giapponese è stata una vhs - più volte andata a ruba e ricomparsa sugli scaffali delle videoteche - della Multivision, unica casa in Italia a detenerne i diritti. Fino al 2002, quando l’Explosion Video produce un dvd di altissimo pregio, che rende giustizia al film integrando le scene mancanti, restaurandone la pellicola e ricostruendo un nuovo comparto audio surround a partire dalla traccia stereo originale. Non paga, arricchisce il disco ottico di un’ampia sezione multilingue tramite menù animati, e gli affianca un secondo disco con un making of di oltre un’ora. Un ritorno in grande stile che entusiasma tutti gli appassionati. E così ci riprova anche la Multivision, che prontamente commercializza il suo dvd, tra l’altro a un prezzo irrisorio. Ma chi avesse avuto la sfortuna di comprare questa versione, si sarebbe ritrovato un prodotto infimo tra le mani: un’identica trasposizione del film da nastro a disco, di quelle che fanno anche le videoteche sotto casa. Niente scene mancanti, niente audio migliorato, niente di niente. A prescindere dalla furbata commerciale c’è da interrogarsi sull’effettiva regolarità di tale pubblicazione…

In ogni caso, il lavoro dell’Explosion apre la strada ad altre operazioni del genere: molti vecchi capolavori ritrovano nuova vita sul supporto digitale, e nuove produzioni hanno anche l’onore di un passaggio al cinema prima di essere commercializzate su dvd (come il film di Cowboy Bebop recensito dal sottoscritto un po’ di tempo fa). Tra le “glorie ritrovate” ecco spuntare Il Castello di Cagliostro, film con protagonista il simpatico ladro gentiluomo Lupin III, e opera prima del maestro Hayao Miyazaki. Anche qui siamo di fronte a un capolavoro di authoring da parte della DVD Storm: audio in DTS, documentari vari e persino un booklet interno. Unica pecca: il prodotto non era del tutto autorizzato. La Yamato Video, storica casa distributrice di anime in Italia, e prima detentrice dei diritti sul personaggio, ne blocca la distribuzione, per questioni di attribuzione. In realtà il copyright su Lupin in Italia è una torta ripartita tra molte aziende: Yamato, DynIt, ShinVision e Mediaset. Per ulteriori approfondimenti vi rimando anche qui a un’altra pagina.

C’è da dire che è una fortuna che Miyazaki-sensei non sia venuto a conoscenza di questa controversia. È ormai storia che Raiuno, nei primi anni ’90, trasmise in televisione Nausicaa senza aver pagato un soldo in diritti: la cosa indispettì così tanto il maestro che, si pensa, fu la causa dell’ostracismo del nostro paese dalla distribuzione dei suoi film. Per fortuna ci ha pensato la Buena Vista (filiale Disney) a risolvere la questione, acquisendo i diritti di distribuzione delle opere Ghibli nel mondo (anche se adesso sembra in fase di stasi e il corpus miyazakiano è lungi dall’essere completato). Ma è emblematico che questa violazione sia stata fatta dalla stessa azienda che con lui stabilì una partnership per la produzione della serie animata Il fiuto di Sherlock Holmes. E se il buon Hayao avesse saputo di questa nuova illegalità nostrana? Chi l’avrebbe potuto biasimare se ci avesse puntato il dito contro accusandoci di recidività? Meglio allora distrarlo e tenerlo buono a Venezia con un Leone d’Oro alla carriera…

E a proposito di dvd: la ShinVision aveva promesso ai fan dell’anime blockbuster degli anni ’90 Sailor Moon una completa riedizione con nuovo doppiaggio, priva delle censure apportate dalla Mediaset, titolare dei diritti, nel suo classico adattamento castrante per la televisione. La cosa è per ora in alto mare proprio perché la Mediaset, che quei diritti se li tiene ben stretti, ha diffidato la casa bolognese dal procedere oltre. E sembra strano che un’azienda i cui amministratori hanno anni di esperienza alle spalle si fossero imbarcati così a occhi chiusi in un’operazione dalla dubbia legalità…

Probabilmente, di eventi come questi il nostro BelPaese ne è ricco, soprattutto se si va oltre l’argomento qui trattato. Ma siccome di cartoni stiamo parlando, vorrei chiudere con una simpatica curiosità che ha forse poco a che vedere col contesto, ma che secondo la mia umile opinione è degna di nota. Quando, nel ’94, uscì nelle sale italiane Il Re Leone, come per tutti gli altri film se ne poteva trovare immancabilmente la sua controparte pirata sulle bancarelle. Soprattutto a Napoli, in cui il mercato è particolarmente florido (basti pensare che i cinesi venivano a prendere master sul tema) girava una strana versione in cassetta: anzi, per dirla tutta, non si poteva chiedere una copia “pezzotta” senza imbattersi nella suddetta versione. Non era realizzata con la solita telecamerina piazzata di fronte allo schermo cinematografico in proiezione, in modo da catturarne audio e video. O meglio, lo era, ma solo per quanto riguarda il secondo: il doppiaggio era del tutto inventato! Non erano le voci di Gassman, Solenghi e compagnia che si ascoltavano, ma quelle di persone sconosciute che recitavano sì sul copione originale, ma con tutt’altro adattamento. Esempio: alla domanda di Simba “Ehi, Zio Scar, quando sarò re tu cosa sarai?” Scar risponde nella versione originale “A monkey’s uncle”, locuzione idiomatica inglese che significa “un vecchio inutile”. Se nell’adattamento cinematografico è stato tradotto come “lo zio di un curioso”, in quello pirata è diventato proprio “lo zio di una scimmia”! Viene quindi da pensare che questa versione fosse presente sulle bancarelle ancora prima che il film approdasse al cinema, e che chi di dovere abbia lavorato direttamente sui dialoghi in inglese. Naturalmente i doppiatori erano cani, e il mix audio inesistente: le canzoni sono rimaste in inglese, e sulle parti parlate la colonna sonora originale è rimpiazzata da delle musiche di dubbio gusto. Eppure si può considerare una rarità da custodire: qualcuno ha una copia di quest’oggetto in casa? Cosa c’è? Avete paura di confessare che anche voi avete fatto parte del giro illecito della pirateria? Andiamo, dopo tutti i precedenti che vi ho riportato da parte di persone molto più in vista di voi, temete ancora delle conseguenze?

Giuseppe A. D’Angelo

Link:

Manga made in Italy

Un ricco archivio di testate di genere

La fortuna di Lupin III in Italia

Giuseppe A. D'Angelo
Giuseppe A. D'Angelo

Sono nato il 15/1/1982.
Mi sono diplomato nel 2000 al liceo scientifico "P. Calamandrei" di Napoli con la votazione di 90/100.
Attualmente frequento la facoltà di lingue e letterature straniere alla "federico II" di Napoli.


Be'... non c'è molto altro da sapere.


Vabbe', dai... I miei hobby sono il cinema (nel senso di andarci), i fumetti (nel senso di farli, oltre che leggerli), la scrittura di articoletti come quelli che avete letto, e la palestra.


Frequento la "Scuola Italiana di Comix" di Napoli.
E poi ho scritto per quasi due anni su un giornale e ho realizzato un opuscolo per il comune sull'adozione a distanza per il comune di Napoli (una storia a fumetti da me scritta e disegnata da Alessandro Nespolino).


Per ora è tutto.