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Donna e pubblicità (2)

04/04/2006 57659 lettori
5 minuti

1.2 L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e la dignità femminile.

Il panorama normativo statale italiano sulla questione pubblicitaria non presenta una natura organica, in quanto gli interventi in materia sono rappresentati da vari articoli sparsi, non legati tra loro da un’autentica coerenza interna. Da molto tempo si parla della inadeguatezza della comunità politica organizzata nel fronteggiare le crescenti esigenze delle società moderne: si auspica, con la formula “Più società, meno Stato”, una maggiore libertà degli operatori, i quali, di contro, dovrebbero però assumersi anche un ingente carico di responsabilità.

Sarebbe indispensabile avviare una generale sensibilizzazione verso l’adozione di codici di comportamento, non solo in ambito pubblicitario, al fine di realizzare una libertà responsabile.

Intanto, la ricerca di un certo margine di libertà nel campo pubblicitario ha avuto il puntuale avallo nel sistema autodisciplinare adottato quale reazione ad una molteplicità di norme di legge prive di una ratio di collegamento, accumulatesi nei decenni e disseminate tra i vari settori merceologici. Col tempo si è rivelato necessario il sistema di intervento sui casi concreti come rimedio a procedimenti giudiziari di lunghezza esasperante, specie per un settore dinamico come la pubblicità.

Storicamente il problema della pubblicità è stato determinato in relazione alla questione della concorrenza sleale piuttosto che in relazione all’informazione dei consumatori[1] .

Si pensi all’ex articolo 2598 del Codice Civile o al Decreto Legislativo n. 74 del 25 gennaio 1992[2] , in attuazione della Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea del 10 settembre 1984, 84/450/Cee[3], relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli stati membri in materia di pubblicità ingannevole, così come modificata dalla direttiva 97/55/Cee[4].

Solo nel 1966[5], un’associazione non riconosciuta e promossa dagli operatori del settore pubblicitario, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, ha promulgato il cosiddetto Codice di Autodisciplina Pubblicitaria (da adesso in poi, per brevità, C.A.P.), per sopperire alla carenza di una disciplina statuale in materia, almeno fino all’emanazione del suddetto d.lgs. 74/92.

Il Codice di Autodisciplina, che nel 1966 prendeva ancora il nome di Codice della Lealtà Pubblicitaria, ha una natura chiaramente privatistica, dunque vincola ai suoi precetti solo chi vi aderisce[6] . Il C.A.P. risulta allora vincolante per alcuni operatori, come agenzie, consulenti pubblicitari, aziende che investono in pubblicità, mezzi di diffusione dei messaggi pubblicitari, che vi abbiano aderito mediante la sottoscrizione di un vero e proprio contratto di pubblicità. L’autodisciplina pubblicitaria italiana è una forma di autodisciplina volontaria, per cui il C.A.P. non detiene l’efficacia erga omnes tipica della legge.

Il Codice di Autodisciplina ha lo scopo di assicurare che la pubblicità[7], nello svolgimento del suo ruolo particolarmente utile nel processo economico, sia onesta, veritiera e corretta, e che sia realizzata come servizio per il pubblico, con particolare riguardo nei confronti del consumatore[8].

Proprio perché volontaria e autonoma, l’autodisciplina ha la sua prima realizzazione nella funzione preventiva, messa in atto spontaneamente dagli operatori nella creazione del messaggio o tramite il parere preventivo liberamente richiesto dagli stessi.

La segnalazione di messaggi pubblicitari considerati scorretti prevede l’intervento immediato dell’apposito Comitato di Controllo[9], che agisce d’ufficio nell’esclusivo interesse dei consumatori, su indicazione sia degli stessi sia delle loro organizzazioni.

I casi più controversi o più importanti vengono sottoposti all’organo giudicante, il Giurì[10], presieduto da un Alto Magistrato e composto da autorevoli esperti di diritto e comunicazione, indipendenti dal mondo della pubblicità[11].

Nel gennaio 2005 l'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha creato una Camera di Conciliazione e di Arbitrato, un’ulteriore struttura che affianca l'attività svolta dal Giurì e dal Comitato di Controllo in merito alla correttezza dei messaggi pubblicitari. Le caratteristiche peculiari dell’autodisciplina sono la rapidità di intervento e di decisione e la specifica competenza nel giudicare: la pubblicità riconosciuta contraria al Codice viene subito bloccata, azione che rappresenta una severa sanzione su vari fronti. Oltre a vanificare i costi per l’ organizzazione della campagna pubblicitaria, infatti si incide profondamente sull’attività commerciale e produttiva dell’ azienda, nonché sulla sua immagine.

L’iter del procedimento per violazioni del codice di autodisciplina pubblicitaria inizia a seguito delle segnalazioni fatte dai singoli consumatori, dalle organizzazioni dei consumatori, dai membri del Comitato di Controllo o dalla Segreteria dell’Istituto.

A questo punto interviene il Comitato di Controllo che esamina la proposta e prende una decisione circa il luogo o meno a procedere. Il Comitato può invitare in via preventiva a modificare la pubblicità che ritiene non conforme al C.A.P., e può anche esprimere in via preventiva, su richiesta della parte interessata, il proprio parere circa messaggi pubblicitari non ancora diffusi.

Nel caso in cui la decisione promuova un’azione nei confronti della pubblicità oggetto d’analisi, il Comitato sottopone al Giurì la pubblicità ritenuta non conforme alle norme del Codice che tutelano il consumatore e la pubblicità. Il procedimento per giungere alla decisione può avere natura ordinaria o abbreviata, a seconda della manifesta violazione del C.A.P..

Un particolare procedimento è costituito dall’ingiunzione di desistenza della diffusione di una pubblicità che appaia manifestamente contraria a una o più norme del codice. Questo provvedimento spetta al Comitato di Controllo, il quale avoca a sé un potere giudicante per “rito abbreviato”.

L’ingiunzione acquista l’efficacia di una decisione se una delle parti non presenta opposizione entro pochi giorni. Di fronte ad un’opposizione di parte, il presidente del Comitato può revocare l’ingiunzione oppure trasmettere gli atti al presidente del Giurì, il quale, a sua volta, può giudicare del tutto priva di fondamento l’opposizione e quindi rendere definitiva l’ingiunzione[12], oppure avvalersi dell’intero organismo di autocontrollo in un nuovo giudizio con rito ordinario.

Quando viene comunicata una condanna, viene ingiunto agli interessati di desistere da immediatamente alla diffusione della pubblicità, con osservanza anche da parte dei mezzi pubblicitari, e viene resa possibile la pubblicazione della pronuncia[13].

Nell’anno 2004, il Comitato di Controllo ha espresso 89 pareri preventivi (attività iniziata nell’anno 1981) ed ha risolto per via abbreviata 681 casi (definiti grazie alla cooperazione dell'inserzionista nell'emendare, su intervento del Comitato, il messaggio pubblicitario; nonché casi analizzati e archiviati per non essere risultati in conflitto con le norme del C.A.P.).

Per quanto riguarda l’ingiunzione di desistenza, il Comitato ha abbracciato questo procedimento dal 1985 e conta, nell’anno 2004, circa 165 casi risolti tramite esso. Le istanze giunte al Giurì sono state, sempre nello stesso anno di riferimento, nel numero di 45, mentre i casi esaminati dal Comitato sono stati in tutto 980. Per quanto riguarda l’esclusiva attività del Giurì, le pronunce di quest’organo giudicante nell’anno 2004 si attestano al livello di 40 (considerando solo quelle su istanza di parte) che, sommate alle istanze precedenti, arrivano ad un totale di 85 pronunce.

Il totale di tutti i casi risolti e definiti nel solo anno 2004 dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria è del numero di 1020, e rappresenta una cifra considerevole se si pensa al fatto che riguarda solo un’attività annuale e se si considera altresì che lo I.A.P. opera da meno di quarant’anni nel territorio italiano. L'Istituto, infatti, è arrivato al compimento del suo 39° anno con un’ attività sempre in aumento (il Codice è alla sua 36° edizione).

L'attività svolta dal Giurì e dal Comitato di Controllo nel 2004 risulta sul piano quantitativo lievemente incrementata, registrando un totale di 1020 casi definiti rispetto ai 985 dell’anno precedente, il 2003. Proprio all’anno 2004 appartengono le pronunce del Giurì che si andranno ad esaminare in questo saggio alla luce degli articoli 9 e 10 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.

A fronte delle brevi sintesi adottate dagli organi responsabili degli altri Paesi Europei, le pronunce dello I.A.P. si differenziano per la fedele verbalizzazione delle posizioni rappresentate dalle parti e per le ampie motivazioni espresse dal Relatore e controfirmate dal Presidente.

L’Istituto promuove un’attività di formazione continua, di anno in anno, organizzando corsi introduttivi al diritto della Pubblicità, a dimostrare la sua sensibilità nei confronti di tematiche che investono l’intera società.

Nel notiziario dello I.A.P. sono annoverati diversi eventi organizzati negli ultimi anni, in particolare ricorre la segnalazione di avvenimenti che proteggono e tutelano la dignità individuale. Alcune di queste iniziative riguardano convegni e dibattiti sulla comunicazione e l’immagine femminile, proponendo visioni diverse nei confronti di un fenomeno pubblicitario in costante aumento e di evidente importanza.

Le parole principali che sottolineano la relazione tra la donna e la pubblicità sono libertà e responsabilità, parole che dovrebbero essere ricordate sempre, soprattutto da parte di coloro che realizzano i messaggi pubblicitari e non possono assolutamente prescindere da quello che sarebbe l’eventuale impatto sociale e psicologico delle persone dovuto all’esposizione a certi contenuti mediali. Infatti, le azioni pubblicitarie, che apparentemente hanno un unico scopo di conoscenza e vendita del prodotto, in realtà contribuiscono sempre, in qualche misura, alla cognizione, più in generale, del modus vivendi. La pubblicità non comunica solo un certo messaggio, ma anche l'atmosfera, la cultura, l’ambiente che lo precedono e lo seguono.

Ed è per questo che una delle principali caratteristiche del sistema autodisciplinare è il continuo aggiornamento delle sue norme, per rispondere in maniera veloce ed adeguata alle costanti evoluzioni della realtà sociologica, economica e culturale in cui viviamo.

Inoltre, per una ragione di tempestività e vigilanza, tutte le decisioni degli organi autodisciplinari vengono inserite sul sito Internet dell’Istituto entro 48 ore dalla pronuncia. La sezione così aggiornata, insieme a quella dell'archivio delle disposizioni dell'ultimo anno, consente agli operatori di avere un quadro opportunamente aggiornato sugli interventi del Giurì e del Comitato di Controllo.

Questo tipo di contributo è apprezzato soprattutto da parte dei mezzi di comunicazione, che non prendono parte attivamente al procedimento, ma che devono comunque provvedere con una immediata adesione alle ingiunzioni di blocco delle campagne respinte.

In termini di dignità umana, i messaggi pubblicitari dovrebbero incoraggiare un modello di comunicazione attento alla rappresentazione dei generi, rispettoso delle identità di donne e uomini, coerente con l'evoluzione dei ruoli nella società. In definitiva, si dovrebbe trovare il giusto equilibrio tra la sensibilità dei consumatori e la libertà di espressione dei pubblicitari.

Un fenomeno che dovrebbe non verificarsi mai, soprattutto nell’epoca in cui viviamo, ma che purtroppo non sembra volerci abbandonare, è l’uso gratuito o sfrontato della nudità, in contesti non adeguati e senza alcuna relazione col prodotto pubblicizzato.

Questo aspetto risulta essere non solo umiliante e indecoroso, ma, molto spesso, danneggia l'efficacia stessa della comunicazione pubblicitaria.

L’Istituto opera anche in questo senso, monitorando le pubblicità che contengono immagini o testi offensivi dell’identità umana, in particolare femminile.

Per tutelare l’orientamento sessuale, l’abilità fisica, il credo religioso e altri aspetti sociali e psicologici, all’interno del Codice troviamo vari articoli, come il n. 9 ed il n. 10 che salvaguardano la decenza, le convinzioni e la dignità della persona.

In particolare, leggiamo nel testo dell’articolo 9 del C.A.P.: “La pubblicità non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti”, e nell’articolo successivo: “La pubblicità non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini. La pubblicità deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni”.

L’effetto che si osserva più frequentemente nelle pubblicità in cui c’è un soggetto femminile è il ricorso, da parte di chi realizza campagne pubblicitarie, a stereotipi per richiamare l’attenzione su un elemento di codifica immediato, per fare in modo che il consumatore possa facilmente collegare l’idea del prodotto con la categoria rappresentativa alla quale è stato associato.

Alcuni studi socioculturali hanno rintracciato questa tendenza e hanno dato vita a precise categorizzazioni. Kermol e Beltrame[14] hanno condotto tra l’agosto 1997 il febbraio 1998 un’analisi degli stili di vita maschili e femminili in rapporto ai modelli proposti dalla pubblicità nei periodici della carta stampata. I ricercatori hanno somministrato ad un campione di giovani (la categoria maggiormente influenzata dai modelli proposti dai media) un questionario in cui si chiedeva di giudicare i 26 modelli socio-culturali femminili e maschili individuati mediante la selezione e il confronto di un vasto campione di pubblicità presenti in periodici femminili, di informazione e di cultura. Da questa ricerca è emerso che questi modelli rispecchiano soltanto alcuni dei ruoli presenti all’interno delle diverse classi sociali, e proprio quelli più tradizionali e convenzionali: la logica sulla quale opera la pubblicità risulta così essere quella dei modelli consolidati.

Gli studiosi hanno dimostrato che la pubblicità non può essere considerata fonte di trasformazione sociale in quanto tende a frenare, piuttosto che a stimolare, le innovazioni, rinnovandosi solo quando ciò è efficace per un suo effettivo funzionamento.

Sulla base della ricerca di Kermol e Beltrame, ho condotto un’analisi del contenuto della rappresentazione della donna nella pubblicità e ho diviso in categorie i vari modelli socio-culturali femminili individuati[15].

Rispetto all’analisi di Kermol e Beltrame, la mia analisi ha prodotto risultati diversi:

1) alcuni dei modelli socio-culturali femminili individuati in precedenza non sono più utilizzati dalla pubblicità, oppure sono presenti solo in certe loro declinazioni;

2) si sono diffuse nuove tipologie di donna.

Per questo motivo, sono stati rinominati alcuni modelli, altri sono stati aggiunti. Bisogna specificare che in tutti questi modelli è sottintesa un’idea di gradualità, cioè ciascun caso particolare, pur appartenendo ad una categoria piuttosto che ad un’altra, potrà corrispondere in maniera più o meno puntuale ad essa.

Quelli proposti sono, infatti, modelli puri, ma nella realtà empirica il più delle volte essi si combinano tra di loro, e quindi le sfumature possibili sono potenzialmente infinite.

I tredici stereotipi di donna che ho personalmente rintracciato nei messaggi pubblicitari sono:

§ La ‘mangiatrice d’uomini’: è una donna molto affascinante e provocante, ma anche indipendente e sicura di sé, e quindi unisce a caratteristiche femminili (incentrate sulla sessualità) tratti psicologici decisamente maschili. Ama sedurre e dominare gli uomini, ma non desidera alcun coinvolgimento affettivo.

§ L’erotica: in questo caso, la donna è vista esclusivamente in relazione al suo aspetto fisico e al suo sex-appeal. Non è propriamente una donna-oggetto (in quanto si offre volontariamente e attivamente), tuttavia essa lancia all’uomo espliciti richiami sessuali perché ha bisogno che lui la desideri, dandole così conferme del suo valore.

§ La sensuale: l’erotismo di questa donna è meno esplicito rispetto a quello dei due modelli precedenti. La sua sensualità è spontanea, ma non inconsapevole: essa infatti ama piacere, ma non è questa la sua principale preoccupazione.

§ L’ambigua: il fascino di questa donna è dato dall’alone di mistero che la circonda, dovuto al suo atteggiamento ambiguo.Una declinazione particolare di questo modello riguarda il fenomeno del travestitismo.

§ La bad girl: questa donna si oppone alle regole sociali che la vogliono sempre sorridente, composta e arrendevole. Eccola dunque compiere azioni molto poco politically correct.

§ La partner:… e non più “la moglie”, in quanto la pubblicità tende oggi a rappresentare giovani coppie colte in contesti non domestici. Il più delle volte emerge un atteggiamento affettuoso (di amore tenero ma anche di passione) e complice tra i due partner.

§ La mamma: è una figura che emerge implicitamente dalle pubblicità di prodotti per l’infanzia. In ogni caso, la figura materna è sempre dolce, affettuosa e attenta ai bisogni dei propri figli.

§ La casalinga moderna:…o modernizzata, nel senso che a questa tipologia di donna molto spesso si rivolgono le pubblicità di elettrodomestici innovativi. E’ una donna che, pur essendo fortemente legata al contesto domestico, unisce alle qualità di brava massaia un certo fascino “ruspante”, forse anche perché la sua casa è dotata di strumenti tali che le lasciano il tempo di prendersi cura del proprio corpo.

§ La sportiva: non è una donna che sta compiendo un’attività sportiva, ma piuttosto che mette in luce l’aspetto fisico che essa ha conquistato grazie alla palestra. Si tratta, in generale, di una donna giovane e attiva; a volte ne viene sottolineata la tenacia, altre volte la vivacità.

§ La ragazza acqua e sapone: si tratta di una donna molto giovane, allegra e spensierata. Le sue caratteristiche principali sono la spontaneità e la naturalezza. Solitamente questa figura pubblicizza linee d’abbigliamento casual per giovani.

§ La narcisista: la vanità è una caratteristica attribuita da sempre al sesso femminile; e questa donna, infatti, è vanitosa: essa è tutta presa da sé stessa e dalla cura del suo corpo. Questo tipo di donna è un’evoluzione della donna oggetto, depurata della sua forte carica erotica. Trae il suo valore esclusivamente dall’aspetto fisico ma la sua è una bellezza non finalizzata alla conquista dell’uomo (seduttività auto-riferita).

§ La raffinata: la caratteristica principale di questa donna è l’eleganza, un’eleganza sobria ma curata nei minimi particolari. Si identifica molto spesso con una donna “dei quartieri alti”, talvolta un po’ snob, anche perché solitamente appare nelle pubblicità di gioielli e di abbigliamento haute couture.

§ La serena: esprime una profonda pace interiore ed una perfetta armonia con l’ambiente (in particolare, con la natura) e con se stessa. Può essere una donna romantica e sognatrice oppure più spiccatamente spirituale e meditativa.

Sulla base di queste valutazioni, volendo confrontarle con eventi reali, si prenderanno ora in considerazione alcune pronunce del Giurì, in riferimento alla strumentalizzazione della figura femminile rintracciata in alcune pubblicità italiane denunciate allo I.A.P. nell’anno 2004.

Si vuole così dimostrare che la dignità femminile viene violata ancora oggi nei mass media, anche se si tratta di casi isolati e non si può generalizzare la questione estendendola a tutta la pubblicità esistente.

Si fa notare inoltre che queste pubblicità sono state bloccate dallo I.A.P., dunque non sono state diffuse dai mass media, o almeno non per un lungo periodo di tempo. Nella pronuncia n. 153 del 12/10/2004, il Comitato di Controllo si pone come parte nei confronti di Teobras srl in relazione alla campagna “Miss Bikini”, diffusa tramite affissioni, ritenendola contraria anche all’articolo n. 10 del C.A.P., considerando che mostra una giovane donna in bikini, sdraiata in mezzo a un gruppo di uomini, protesi verso di lei.

L’immagine di quest’ultima risultainquietante e offensiva in quanto mostra, fisicamente e metaforicamente, un corpo di donna ridotto a richiamo dell'ossessivo desiderio maschile, che non si limita a esprimersi attraverso lo sguardo bensì attraverso un' inequivoca gestualità fortemente invasiva: la donna mostra un sorriso alienato come se fosse rappresentata nell'esercizio passivo di una funzione erotica solo per altri. In particolare, premesso che un'immagine pubblicitaria deve essere interpretata alla luce del suo significato globale, della forma nel suo complesso, essendo qualcosa di più e di diverso rispetto alla semplice somma delle parti da cui è costituita, osserva che la percezione immediata che le fotografie trasmettono è quella di una donna in una posizione 'obbligata', imposta dalle tante mani che la toccano liberamente, in ogni parte del corpo.

La comunicazione che 'passa' prima di qualsiasi mediazione, scomposizione, valutazione critica, esprime con forza e in modo sintetico l'idea di un qualcosa (il corpo della donna) e non di una persona che si trova a livello paritetico con altri che la circondano e dai quali può allontanarsi qualora lo voglia.

Il suo atteggiamento di inerzia o meglio di 'assenza' è caratteristico di certe modalità di fruizione oggettiva in cui l'oggetto, in questo caso la ragazza, resta inerte e lontano, dal momento che nessuna sua partecipazione all'azione è richiesta o necessaria.

Una donna-oggetto, non solamente una donna erotica, come proposto nella mia categorizzazione, che può effettivamente diventare veicolo di turbamento psichico e di errati convincimenti sul modello di comportamento maschile e sull'immagine e il ruolo della figura femminile.

Nulla da eccepire sul fatto che il Giurì, a suo tempo, ne abbia immediatamente disposto la cessazione.

I mass media giocano un ruolo fondamentale nella riproduzione degli stereotipi e dei pregiudizi, e la conseguenza che si otterrebbe diffondendo questa immagine di donna sarebbe la produzione di una credenza generale collegata alla percezione sociale della donna vista in termini di oggetto del desiderio maschile.

Questa immagine rappresenta in maniera esaustiva quanto teorizzato da Gerbner[16] nella teoria dell’ “annullamento simbolico” (“symbolic annihilation”) fondata sulla convinzione della grande efficacia dei mass media nell’attribuire, o al contrario, sottrarre visibilità e importanza sociale ai soggetti nelle loro rappresentazioni.

Nell’esempio descritto sopra, la donna viene ridotta ad oggetto sessuale dall’annullamento, da parte della pubblicità, della sua identità, per essere relegata al ruolo di strumento erotico per gli uomini che le stanno accanto.

Questa definizione dell’immagine della donna si eleva al rango di paradigma, nel senso che costruisce una visione della realtà che viene ad influenzare il modo di pensare e di leggere le cose che ci sono intorno. Così l’annullamento simbolico diviene paradigma in quanto può e deve essere considerato come elemento volto, da parte dei mass media, a ridurre le donne a componente minoritaria della posizione, rappresentandole come esseri deboli e limitati, esclusi dal mondo produttivo, vittime elettive degli episodi di violenza; ciò equivale a definire le donne come socialmente irrilevanti e ad annullare simbolicamente il significato della loro presenza nel mondo. Una ricerca nell’ambito sociologico di Mc Quail rappresenta empiricamente quanto teorizzato a livello paradigmatico da Gerbner.

Mc Quail[17] pone tra gli effetti non deliberati e a lungo termine dei mass media il controllo sociale, la socializzazione, la definizione della realtà e il mutamento istituzionale ed esemplifica il processo di controllo sociale e di formazione della coscienza in questo modo:

FONTE

CONTENUTO

PRIMO EFFETTO

SECONDO EFFETTO

TERZO EFFETTO

ü Fonti multiple non specificate

ü Media in generale

ü Messaggio con una struttura stabile e sistematica

ü Patrimonio condiviso di conoscenze, valori, opinioni, cultura

ü Selezione e risposta differenziati (da parte del ricevente)

ü Socializzazione

ü Definizione della realtà

ü Distribuzione della conoscenza

ü Controllo sociale

La partecipazione dei mass media alla socializzazione iniziale dei bambini e alla socializzazione a lungo termine degli adulti è ampiamente riconosciuta, sebbene sia praticamente impossibile provarla: ciò è dovuto in parte al fatto che si tratta di un processo di lungo periodo e in parte perché qualsiasi effetto dei media interagisce con altre influenze provenienti dal contesto sociale e con modelli variabili di socializzazione all’interno delle famiglie27.

Due teorie rendono conto di come i mass media interverrebbero nel processo di socializzazione. La prima è la teoria del modellamento che venne formulata negli anni ’60 dallo psicologo Bandura28.

Egli, partendo dall’osservazione che i mass media presentano moltissime descrizioni della vita sociale, indicò le fasi del processo di modellamento:

- un singolo membro di un pubblico osserva nel contenuto mediale un modello (una persona) che esplica un certo tipo di azione;

- l’osservatore si identifica col modello, che ritiene quindi degno di imitazione;

- l’osservatore riconosce che il comportamento osservato è funzionale, ovvero produce effetti desiderabili, se imitato in una certa situazione;

- l’individuo ricorda e riproduce il comportamento del modello (risposta) quando si trova in circostanze pertinenti (stimolo);

- l’individuo trae delle gratificazioni, così il legame stimolo – risposta (suggerita dal modello) è rinforzato positivamente;

- questo ultimo rinforzo aumenta le probabilità che l’individuo dia ripetutamente la medesima risposta a stimoli simili.

Questa teoria riguarda l’influenza indiretta e a lungo termine sull’azione individuale; l’influenza indiretta e a lungo termine sull’azione collettiva (cioè sulla società) è spiegata invece dalla teoria delle aspettative sociali29, sempre di derivazione sociologica.

Essa afferma che i mass media danno delle rappresentazioni affidabili o meno dei modelli consolidati di vita di gruppo, rappresentazioni che in ogni caso diventano l’insieme appreso di aspettative sociali circa il modo in cui ci si aspetta che agiscano i membri dei vari gruppi che compongono la società.

Queste aspettative forniscono dunque da un lato delle indicazioni sul comportamento da tenere verso gli altri membri del proprio gruppo, dall’altro delle conoscenze sul comportamento dei membri degli altri gruppi.

E’ corretto quello che affermò Mc Luhan con la famosa formula “Il medium è il messaggio”30, intendendo che l’efficacia di un messaggio risiede nel mezzo che lo veicola.

Il nostro principale interesse è conoscere nello specifico gli effetti che la pubblicità esercita sulla società, per dimostrare come questi due aspetti si influenzano vicendevolmente.

Innanzitutto, bisogna dire che la pubblicità è organizzata per modelli in quanto, data la vastità e l’eterogeneità del pubblico, si rende necessaria la creazione di un numero limitato di stereotipi per ridurre la complessità.

Come sostengono Pratkanis e Aronson31, poi, la persuasività di questi modelli è dovuta a due motivi:

  1. insegnano nuovi comportamenti, che vengono ripetuti perché si crede così di ricevere le stesse ricompense ricevute dal modello per quel comportamento (ritorna qui la teoria del modellamento citata prima);
  1. sono un segno che certi comportamenti sono legittimi e appropriati.

Dunque, i modelli pubblicitari funzionano perché sono fonti credibili e attraenti, e quindi non sono utili solo a vendere prodotti, ma, potenzialmente, anche a rafforzare valori e ad insegnare stili di vita. Per Wernick32 , la pubblicità sarebbe addirittura la principale istituzione moderna incaricata della circolazione e della distribuzione dei valori ideologici: esprimendo al suo interno valori conservatori, essa contribuirebbe al mantenimento dell’ordine capitalistico.

Ad ogni modo, dato che la funzione primaria della pubblicità è vendere, il ricorso a valori ideologici rimane puramente strumentale.

Questo vale sia se consideriamo la donna nella sua globalità, ma anche nello specifico, quando è possibile rintracciare rappresentazioni pubblicitarie riferite solo ad una parte del suo corpo.Un esempio di come si possa ridurre il corpo della donna ad una parte per il tutto riguarda la pronuncia n. 170 del 14/09/2004, dove la I.L.C. Alfio Zappalà srl segnala allo I.A.P. la Alimentari Provenzano srl in relazione alla pubblicità “Le mozzarelle Provenzano”.

In questi manifesti sono raffigurate due mozzarelle poste l'una accanto all'altra, coperte da un reggiseno a triangolo, a simulare un seno femminile, e accompagnate dall' headline 'Le mozzarelle Provenzano. Quelle dotate di genuinità'. E’ chiaro come l'identificazione delle mozzarelle col seno femminile risulta offensiva della dignità della donna, mercificandone il corpo.

La ditta Provenzano fa diventare seni le mozzarelle rafforzando questo paragone sia sulla forma, ma soprattutto sul fatto che i seni e le mozzarelle hanno come comune denominatore il latte, visto che la mozzarella ne è costituita e il seno lo produce.

In realtà, la cessazione di questo messaggio pubblicitario è stata imposta in relazione all’articolo 13 del Codice, che regola e tutela l’imitazione, la confusione e lo sfruttamento: l’azienda Zappalà aveva realizzato in precedenza una campagna pubblicitaria (già sottoposta a giudizio del Giurì e censurata) in cui si faceva il procedimento inverso, rappresentando l’immagine di un seno femminile coperto da un reggiseno a triangolo, accompagnata dalle headline 'Mozzarelle Zappalà' e 'Le cose belle dell'estate'.

Come dire: si è perseverato sullo stesso paragone più di una volta, sia da un punto di vista che dall’altro, producendo però un risultato identicamente disdicevole nei riguardi di una parte del corpo della donna così intima e materna.

Negli stereotipi che ho segnalato non compare una categoria che ponga al centro dell’attenzione solo una parte del corpo della donna, in quanto ho tentato di riferirmi alla figura femminile in generale, ma trattandosi di modelli puri, quelli che ho segnalato potrebbero essere suscettibili di future integrazioni e modifiche.

In merito all’analisi di atteggiamenti erotici in pubblicità non ci sono stati molti contributi, ma i più importanti in ambito giuridico sono, come in questo caso, di commento alle pronunce del Giurì dello I.A.P.33.

Non stupisce che alla base della logica pubblicitaria coesistano interessi di natura differente e discordante, che non valutano gli effetti del messaggio sul ricevente e sulla sensibilità collettiva (che rimane così non toccata da alcuni importanti temi) tanto quanto un ritorno in termini di notorietà della marca o di conoscenza diffusa del prodotto/servizio pubblicizzato.

Sia il processo di categorizzazione sociale, sia quello della stereotipizzazione concorrono al fenomeno dell’individuazione dell’Altro, etichettato come un soggetto avente precise caratteristiche. Se un mezzo di comunicazione di massa filtra una descrizione del genere femminile fortemente legata al ruolo sessuale e a tratti che minano la sua dignità personale, i comportamenti delle persone ne rimarranno fortemente influenzati.

Gli atteggiamenti sono un anello di congiunzione fra l’individuo e la società nel suo complesso poiché contribuiscono a guidare il comportamento delle persone.

Il pregiudizio come atteggiamento presenta un aspetto cognitivo, che comprende gli stereotipi, le credenze e tutte le informazioni sull’oggetto, un aspetto affettivo, ovvero i sentimenti suscitati e messi in atto verso l’oggetto-bersaglio (in questo caso, la donna), e un aspetto comportamentale che presuppone le azioni messe in atto nei confronti del bersaglio34.

L’immagine della donna, al pari di ogni altra immagine diffusa dai mass media, non è il ritratto di una condizione reale, ma è solo la rappresentazione simbolica di un modello consonante con gli ideali e le aspirazioni collettive, di cui gli addetti alla produzione sono mediatori e interpreti.

Se, ad esempio, un messaggio pubblicitario diffuso attraverso il media televisivo mostra, come idealtipo femminile, la giovane partner/madre dedita ai problemi e ai rapporti familiari, ciò significa che questa è la figura di donna reputata in grado di rivestire il massimo di desiderabilità e di suscitare il massimo del consenso sociale35.

La pubblicità, tra tutti i mass media, è divenuta oggetto di attenzione e d’analisi in merito alla rappresentazione dei ruoli sessuali, non risparmiata da critiche e denunce.

Le ragioni di questa attenzione risiedono da un lato nella critica alla cultura consumistica di cui la pubblicità si fa portatrice per eccellenza, e dall’altro lato nel continuo utilizzo strumentale del corpo femminile, principale veicolo di mediazione dei valori collettivi.

Come reagire di fronte al caso discusso nella Pronuncia n. 100 del 29/06/2004 dello I.A.P.? L’azienda Casa Mia-GDO srl, per pubblicizzare complementi d’arredo, usò ed osò lo slogan “Ve la diamo gratis…la camera matrimoniale completa” riferendola all’immagine di due ragazze sorridenti che tirano un lenzuolo verso il proprio viso, con fare poco innocente. Il body copy altresì recitava: “Venite a toccarla con mano…Operazione camera in regalo sull’acquisto di un arredamento completo. Promozione valida fino al 30/05/2004”.

Secondo il Comitato di Controllo che segnalò il caso al Giurì richiedendone l’intervento, il gioco di parole contenuto nella headline non lasciava molto spazio all’immaginazione circa il suo significato volgare. Non avendo aderito al C.A.P., non essendone così vincolata, la Casa Mia GDO-srl non ebbe sanzioni in merito da parte del Giurì, che dichiarò il difetto di giurisdizione di questo messaggio.

L’azienda però, cessò subito la campagna pubblicitaria senza rinnovarla, comprendendo l’errore di interpretazione in cui potevano incappare gli ignari spettatori, soprattutto per non ledere alla notorietà del proprio marchio.

La GDO, comunque, in fase di giudizio, sosteneva che il messaggio era manifestamente diviso in due parti: la prima che indica al destinatario cosa la società inserzionista offre gratis, ossia la camera matrimoniale completa, e la seconda che indica cosa si debba toccare con mano, ossia “l’operazione camera in regalo”, senza che sia possibile individuare doppi sensi allusivi e volgari. Passando all’analisi socioculturale di questo messaggio pubblicitario, secondo la mia categorizzazione degli stereotipi femminili, si può far corrispondere l’immagine delle due ragazze alla donna erotica unita al profilo della bad girl, in quanto si esprime un contenuto fortemente connotato a livello sessuale tramite una frase di facile interpretazione sociale, peraltro poco politically correct, che si manifesta a livello formale con l’immagine maliziosa delle due giovani, che unisce i due idealtipi individuati.

Attualmente, l’identità femminile si pone in modo totalmente diverso rispetto a quanto accadeva in passato: vengono meno gli elementi che obbligano la donna ad identificarsi con un modello codificato, anche in ragione dei cambiamenti sociali che obbligano ogni individuo a ricoprire più ruoli nella propria vita, a seconda dei diversi contesti che incontra.

L’identità si fa fluida, flessibile, per dirla con le parole di Bauman36, viviamo in una società liquida, a differenza della passata società strutturata per classi e ruoli stabili.

Ma a fronte di questo evidente cambiamento nel tessuto sociale, la pubblicità troppo spesso non fa altro che riproporre vecchi stereotipi femminili, non adeguati al ruolo che oggigiorno riveste la donna all’interno della realtà sociale, non più cristallizzata.

Bisogna comunque tener conto del carattere sintetico e dei tempi contratti dell’annuncio pubblicitario ( sia che si tratti di quello televisivo o radiofonico sia che si tratti di quello diffuso attraverso la stampa, si punta sempre all’impatto sul pubblico tralasciando altri aspetti profondi) che non lasciano lo spazio sufficiente alla costruzione di una vicenda, ma che al contrario prediligono l’identificazione immediata degli stili comportamentali, attraverso atteggiamenti ed immagini ipercodificati.



[1] Sulle carenze i questo sistema si legga BERTI, Pubblicità scorretta e diritti dei terzi, Milano, 2000, pag. 41ss.

[2] Per i commenti relativi al d.lgs. 74/92 si vedano: FLORIDIA, Il decreto legislativo in materia di pubblicità ingannevole: illustrazioni e commenti, Relazione al convegno “Pubblicità ingannevole: verso nuove regole”, Milano, 29 aprile 1992; FLORIDIA, Il controllo della pubblicità comparativa in Italia, in Dir.ind., 1998; FUSI,TESTA, Diritto e pubblicità, cit.; FUSI,TESTA,COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole, Milano, 1993; GAMBINO, La tutela del consumatore nel diritto della concorrenza: evoluzioni ed involuzioni legislative, anche alla luce del d.lgs. 25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole, in Contr. e impr., 1992, pag. 411 ss.; ROSSI, La pubblicità dannosa, Milano, 2000, pag.156 ss.

[3] La direttiva n. 450/84 ha dato chiaramente a livello comunitario un impulso al controllo della comunicazione ingannevole, definendo (art 2):- il termine pubblicità come 'qualsiasi forma di messaggio che sia diffusa in qualsiasi modo nell' esercizio di una attività commerciale, industriale [....] al fine di promuovere la fornitura di beni o servizi' - il termine pubblicità ingannevole come ' qualsiasi pubblicità che, in qualsiasi modo [....] induca in errore o possa indurre in errore le persone alle quali è rivolta e che possa pregiudicare il loro comportamento economico o che leda o possa ledere un concorrente'.

Le suddette definizioni tentano di eliminare alcune lacune normative che lasciavano il posto ad un'ampia discrezionalità nella determinazione dell'ingannevolezza o meno del messaggio al pubblico, mirando a tutelare sempre più il consumatore che deve essere in grado di riscontrare nel bene o servizio oggetto della pubblicità le qualità 'decantate'. Sulla trasparenza e sulla garanzia della pubblicità si veda: DI VIA, Commento all’art.1 e 4 della direttiva n.450/84, in Legge civile commentata, 1993, p.671; sui diritti del consumatore si veda invece: L.29 dicembre n.428, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea- “Tutela dei consumatori. Divieto di pubblicità ingannevole: criteri di delega”, pubblicata nella Gu n.10 del 10 gennaio 1990.

[4] Sulle azioni precedenti dell’Unione Europea si rimanda a: MENGOZZI, Il diritto della Comunità Europea, in Trattato di Diritto commerciale e di Diritto Pubblico dell’economia, Padova, 1990; il quale afferma che la pubblicità, influenzando quotidianamente le scelte del consumatore e quelle del mercato, veniva considerata dagli Stati membri, dai suoi produttori, venditori e consumatori “un importante strumento economico per rendere operativo il Mercato Unico”. Sul alcuni aspetti pubblicitari disciplinati dalla Direttiva 97/55/Cee si veda: AUTERI, La Pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/Cee, in Contratto e impresa/Europa, 1998, p.601; e anche: MANGIONE, Osservazioni sulla pubblicità comparativa alla luce della direttiva 97/55/Cee, in Dir. com. int., 1998, p. 1031 ss.

[5] La prima edizione del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria risale al 12 maggio 1996.

[6] Per una rassegna e un’analisi delle differenti modalità di adesione all’Autodisciplina Pubblicitaria si rimanda a: DA MOLO, I contratti di pubblicità, in Nuova giur. civ. comm., 1990, pag. 291 ss., DI CATALDO, Natura giuridica dell’Autodisciplina pubblicitaria e ambito soggettivo di applicazione del Codice di autodisciplina, in Contr. e impr., 1991, pag. 11 ss., PEDRIALI, Profili soggettivi dell’Autodisciplina pubblicitaria, in Riv. dir. ind., 1992, pag. 6 ss..

[7] Agli effetti del Codice il termine “pubblicità” comprende ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati.

[8] L’orientamento alla tutela del consumatore è riassunto in: AUTERI, Il Codice di autodisciplina Pubblicitaria, in AA.VV., Le fonti di autodisciplina. Tutela del consumatore, del risparmiatore, dell’utente, a cura di ZATTI, Padova, 1996.

[9] Rif. Art. 30 C.A.P. - Composizione del Comitato di Controllo.

[10] Commenti agli interventi del Giurì e dibattito sulla sua natura in: CONSOLO, Natura del Giurì di Autodisciplina pubblicitaria e fenomeni in senso lato arbitrali, in Aida, 1993; GUGLIELMETTI, I rapporti tra autorità, Giurì ed altri organi in materia di pubblicità ingannevole, in Giur. pubbl., 1997; RAPISARDI, Decisioni del Giurì e controllo dell’Autorità giudiziaria ordinaria, in Dir. ind., 1996; UBERTAZZI, La giurisprudenza del Giurì di autodisciplina pubblicitaria: alcune osservazioni, in Foro it., 1986.

[11] Rif. Art.29 C.A.P. -Composizione del Giurì.

[12] Sull’inappellabilità e l’esecuzione immediata delle decisioni del Giurì si legga: BERTI, Pubblicità scorretta e diritti dei terzi, cit., pag. 95 ss.

[13] Per tutte le informazioni dettagliate sull’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, sulle norme del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria e sulle pronunce del Giurì degli ultimi anni si può visitare il sito internet www.iap.it, esistente in rete dall’anno 2000.

[14] Tutti i dati riportati si trovano in: KERMOL, Cinema moda pubblicità, Franco Angeli, Milano, 2001.

[15] Per consultare gli esempi sugli stereotipi rintracciati si può visitare il sito Internet alla pagina: http://www.comunitazione.it/leggi.asp?id_art=618&id_area=146/ (settembre 2005)

[16] GERBNER, Violence in Television Drama: Trends and Symbolic Functions, in COMSTOCK, RUBINSTEIN, Media Content and Control, Washington, U.S. Governement Printing Office, vol. I, 1972.

[17] Mc QUAIL, Le comunicazioni di massa, il Mulino, Bologna, 1986.

27 GRANDI, I mass media tra testo e contesto, Lupetti, Milano, 1992.

28 Per una visione completa del fenomeno e per una descrizione più dettagliata delle fasi si consultino i capitoli centrali del testo: BANDURA, Principles of Behavior Modification, Holt, Rinehart and Winston, New York, 1969.

29 Un manuale completo sull’argomento, di due autori illustri in questo campo è: DEFLEUR –BALL-ROKEACH, Teorie delle comunicazioni di massa, il Mulino, Bologna, 1995.

30 Questa formula è riportata in: Mc LUHAN, Gli strumenti del comunicare, Il Mulino, Bologna, 1967.

31 PRATKANIS – ARONSON, Psicologia delle comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna, 1996.

32 Molto interessanti le prime parti del testo sull’espressione simbolica in: WERNICK, Promotional Culture: Advertising, Ideology and Symbolic Expression, Sage, London, 1991.

33 Si segnalano in particolare sull’argomento: MINA, Gli atteggiamenti erotici nella pubblicità, commento alla decisione del Giurì n. 17/95, in Dir. Ind., 1995, 967 e anche MONDINI, Tequila e nudo di donna, commento alla decisione del Giurì n. 256/96, in Dir. Ind.,1997, 425.

34 L’analisi della psicologia sociale delle nuove forme di pregiudizio legate anche al mondo mediatico è ben articolata in: VILLANO, Pregiudizi e stereotipi, Carocci, Roma, 2003.

35 Quanto riportato si riferisce alla reflection hypothesis formulata da TUCHMAN in : The TV Estabilishment, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1974.

36 BAUMAN, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge 2000, trad. it. Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002.

Ilaria Di Russo
Ilaria Di Russo

Laureata e specializzata nel 2005 presso l'Universita' degli studi di Teramo, ha studiato: economia e gestione delle imprese, marketing, tecniche manageriali per la comunicazione. Nel 2002 ha partecipato ad un corso di creazione d'impresa, approfondendo elementi di economia, gestione e finanza imparando a realizzare business plan e venendo a contatto, tramite stage, con un'agenzia di comunicazione integrata, con la quale ha collaborato per la prima tesi di laurea, analizzandone gli aspetti strategici della struttura organizzativa e del marketing.
La seconda tesi di laurea della specialistica e' stata invece scritta in collaborazione con la Saatchi&Saatchi.
Nel 2005, dopo aver ottenuto una borsa di studio post-laurea per la ricerca universitaria, consegue la qualifica professionale di esperta in formazione a distanza (e-learning) per la didattica aziendale e la gestione di piattaforme informatiche evolute.
La qualifica e' stata spesa in diverse esperienze, anche in Master per la formazione degli adulti, come tutor e docente e in altre collaborazioni con la Facolta' di Scienze della Comunicazione dell'Universita' degli studi di Teramo. Ha ottenuto un contratto nell'anno 2006 presso la Facolta' di Agraria (Teramo) col ruolo di assistente organizzativo alla didattica per programmare, monitorare e valutare i corsi di laurea. Nello stesso anno ha seguito corsi sulla sicurezza del lavoro e l'organizzazione aziendale. Ha diverse esperienza di docenza, un'ottima conoscenza dell'inglese.
Nel 2005 e' stata convocata come esperta di mass media nel Progetto T.A.G.S. promosso dall'E.A.R.L.A.L.L http://www.earlall.org/tags/ .
Ha conseguito un dottorato di ricerca presso la Facolta' di Scienze Sociali dell'Universita' 'G. d'Annunzio' di Chieti-Pescara e si occupa di fenomeni sociali e ricerca operativa.E' stata invitata nel mese di settembre 2010 al programma televisivo 'Mattina in Famiglia' su Ra1 per prendere parte al dibattito su 'Donne e pubblicita'm come esperta di comunicazione. Ha curato come consulente la pianificazione Marketing nel settore PMI in diverse aziende abruzzesi. Ad oggi continua ad operare nel settore della formazione ed è attualmente coinvolta in diversi progetti.