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Brand e consumatore: tra identità di marca e identificazione

15/09/2005 24636 lettori
5 minuti
Oggi incontriamo il professor Giovanni Siri
per scoprire meglio quali relazioni
si creano tra il brand
ed il consumatore.
Professore benvenuto su comunitàzione. Partiamo con una domanda diretta: Ogilvy diceva: vendiamo il prodotto oggi è la marca anche per domani. Le varie sedi Ogilvy sparse per il mondo continuano a praticare questo che non è solo uno slogan ma la vera vission aziendale. Ci può dare un suo parere?
Beh, in effetti la marca nasce per 'vendere' non solo un prodotto ma un rapporto, una relazione di fiducia in cui l'attenzione del cliente e la sua preferenza potenziale per la marca sono ricamnìbiati da un impegno del produttore a mantenere le promesse insite nella marca. promesse che sono sia di qualita' o di rapporto qualita' prezzo sia di immagine, di valori e di simboli e sogni che la marca sa sollecitare riuscendo ad esprimere il vissuto piu' profondo che il consumatore attiva per il prodotto o servizio o esperienza di cui la marca e' 'garante'.
Quindi puntare sul brand non è assolutamente sbagliato. ma ciò che mi sembra strano, e forse lo è per mia ignoranza pura, è che molta gente continui ad applicare la teoria del proiettile magico per spiegare l'interazione prodotto-comunicazione-cliente. mi può aiutare a venirne a capo? dal suo punto di vista, e dagli studi che lei ha effettuato... risulta anche a lei banale e inutile spiegare quest'interazioni in termini di stimolo-risposta?
Da professore di psicologia potrei cavarmela ricordando che lo schema S-R è da tempo superato in psicologia, e che gia' lewin negli anni '60 parlava di schema S-O-R ( dove la 'o' sta per 'organismo', vale a dire meglio la personalita' degli individui che media il rapporto s-r...a parte questo ormai la complessita' dell'agire di consumo non puo' essere ricondotta ad una semplece reazione lineare ad uno stimolo: le persone-consumatori cercano attraverso il rapporto con il consumo elementi di identita' o di simulazione di identita' diverse, cercano mondi possibili alternativi, cercano excitement ed evasione oppure esprimono valori e nuove etiche...il consumo non e' piu' (se mai lo e' stato) un mondo meccanicistico ma una sfera di esperienze attraverso cui le persone cercano significati in una sfera intermedia tra realtà e immaginario, tra individuale e sociale, tra razionale ed emotivo...piu' che banale e' impossibilecomprendere il rapporto brand-consumatore (come quasi tutti i comportamenti di consumo ) in una chiave neccanica. si parla non a caso di approccio relazionale o narrativo, di immaginario, di significato..il fatto e' che lk'economia classic ae' nata su una antropologia utilitaristica e razionalistica che non esaurisce gli aspetti dell'umano esistere, e in effetti oggi gli economisti stessi stanno di fatto mutando laloro visione delle cose , mentre il marketing parla di un approccio 'relazionale' al consumatore...pare che le rappresentazioni degli economisti si avvicinino alla realtà delle persone....
Mi permetta. La comunicazione che crea esigenze, o fa nascere il desiderio di acquistare oggetti inutili... mi pare un po' strano. personalmente sfiderei chiunque a vendere il cosidetto ghiaccio agli eschimesi. ma venderlo nel sahara mi sembrerebbe più ovvio, economico e produttivo. o ho preso fischi per fiaschi?
La fantasia persecutoria della 'manipolazione mentale' e' caratteristica di una certa epoca in cui i cambiamenti tecnologici sociali e morali hanno indotto una serie di timori, rafforzandosi poi nella ideologia marxista e per certi versi cattolica che temeva l'allontanamento dallo stato spontaneo e naturale dell'uomo ad opera del cosiddetto progresso...cioì che gli studi indicano eì che certamente la pubblicita' e piu' in generale la pressione di vendita orientano l'immaginario ed il desiderio, ma che possono farlo in assenza di alternative valide. i peggiori consumatori sono le persone ad elevata visione valoriale delal vita (come i verdi convinti, per es. ) perche' esprimono il loro progetto attraverso un proprio percorso e quindi non hanno bisogno di proiettarlo nelal sfera del consuo (includendo nel consumo anche il consumo di media, di tempo libero, di esperienze ecc..., secondo la attuale concezione estesa di consumo). e' vero che esiste una sorta di dipendenza dal consumo in taluni casi, ma trattasi per l'appunto di casi clinici, di estremi che nascono dal fatto che i consumi riempiono un vuoto, vicariano una assenaza. e' altrettanto evidente che di questa 'assenza' i consumi oggi si giovanoi, e che quindi in qualche modo il marketing del desiderio si giova di una latenza di valori e di etiche forti, oppure si associ bene ad una etica dell'edonismo e dell'excitement..ma e' altrettanto chiaro che quando la societa' esprimeraì un nuovo orizzonte di valori non potra' certo contrastarlo, ed anzi lo assecondera' . i consumi costituiscono una espressione ed estensione dei desideri e dei valori, un mezzo: se diventano un fine e' solo perche' esiste unapatologia dentro la societa' o le persone...
E allora... partiamo da un altro punto di vista. l'imprenditore per vendere deve conoscere il mercato, quindi immetere prodotti che servono, anche se (semplificando il discorso) non sempre l'utente finale ne è a conoscenza. nessuno sapeva di aver bisogno del dvd, ma avevamo bisogno di sistemi di memorizzazione più capienti. un operazione abbastanza ovvia, semplice. anche i post-it. tutti li usiamo perché avevamo bisogno di questo oggetti. chi non lasciava bigliettini a genitori, figli, coniugi sul frigorifero? poi un errore nel reparto r&s della 3m... e il resto è attualità. quindi? la comunicazione non mi ha obligato ad acquistare nulla...
La chiave di volta di un mercato 'consumer centered' e' proprio quella di cogliere bisogni ed offrire commodities: tra i bisogni pero' ci sono anche quelli legati alel fantasie, ai desideri...che una volta erano saturati da racconti o saghe ed oggi lo sono dai media, dai viaggi, dalle offerte di dinamiche di gruppo, d apalestre....la mapap dei consumi e' anche una mapap sintomatica dei desideri, dei sogni, delle paure, delel fantasie delle persone...che pero' vengono espresse e interpretate e non create da chi opera per fare di questa materia una occasione di proposta e di vendita...
In effetti il discorso cambia se pensiamo alla ferrari... in quel caso... potremmo parlare di identificazione?
L'identificazione, l'aspirazione, il sogno di successo e di potenza sono tra i piu' antichi nelal nostra storia psicologica, e quindi permangono e sono forti: oggi ferrari, ieri il destriero o l'armatura...
Forse inizio a comprendere meglio, e con il suo permessotornerei al discorso di prima... l'uomo costruisce la propria identità anche attraverso gli oggetti di cui si circonda...
Certamente: ma e' sempre stato cosi'. fin dalal preistoria nelel tombe veniva posto accanto al defunto un corredo di oggetti che dovevano anche definire chi era, rafforzarne la identita' proprio nel momento in cui spariva dall'orizzonte visibile...
In qualche modo lei ci sta suggerendo l'idea che le aziende dovrebbero investire molto di più per scoprire l'identità dei propri clienti?
In parte gia' lo fanno, ma questa e' una chiave cosi' centrale che dovrebbero insistere molto di piuì. solo che per farlo dovrebbero ragionare in chiave antropologica, sociaoculturale, psicologica...e non sono registri di lettura del reale familiari alle aziende, che preferiscono ( si sentono piu' sicuri ) sul terreno meccanicistico, deterministico. preferiscono pensare che le persone sono universalmente mosse da cause precise e manipolabili...temono che scendere a livello della identita' pomga dinannzi ad una eccessiva complessita'. in realta' non e' cosi', ma sara' difficile rfarlo capire a chi nelal sua formazione non ha lasciato spazio per l'approccio umanistico e preferisce ispirarsi alle 'scienze esatte' o 'forti'..
Mi scuso se la faccio divagare, ma la creazione (o il tentativo) di costruire comunità online intorno ad una marca, vanno in questa direzione?e a qualirisultati portano?
Esiste oggi il concetto di brand community. va nelal direzione di chiedere a chi ha fiducia nelal marca dipartecipare con critiche, consigli, informazioni, a migliorare la marca, e d'altro lato tende a favorire l'interscambio e occasioni di identificazione tra coloro che preferiscono questa marca. in un certo senso gia' la communitu delle fidelity card dei supermercati va in questo senso (con giornalino, servizi ed offerte privilegiate, ecc..)
Avrei altre due domande interessanti. la prima: l'uso dei cosidetti testimonial (celebrity, sarebbe più esatto)... che ruolo hanno? e perché in italia se ne fa un uso da molti, ed io sono nel coro,definito eccessivo?
Si tratta di una tendenza che e' in decalage. Era proprio un modo da un lato di personificare il prodotto, dandogli per anlogia un apersonalita' ( la brand personality appunto ), e dall'altro offrire una sorta di modello identificativo e garante al tempo stesso al consumatore. oggi questo apapre meno necessario e meno efficace, perche' il consumatore non ha bisogno di tutele o di mimetismi..in italia la presenza del testimonia e' forte per la propensione a umanizzare i prodotti ed il consumo:non a caso oggi prevalgono modelli della 'commedia all'italiana' ( vedasi de sica per tim ) che sembrano dire che alla fine 'siamo tutti umani'..
mi perdoni, rischio di trascinarla in un polverone... il caso di 'blu'. l'identificazione eccessiva del brand con il perdente (willy il coyote, il gatto sivestro...) non è stata forse una mossa al quanto discutibile?
Credo che blu abbia fatto una comunicazione bella ed efficace: probabilmente poteva permettersi di giocare con la figura del perdente solo dopo che fosse diventata una marca forte, e non prima...
la seconda domanda invece... con la depressione fiscale attuale, cosa cambia nella testa del consumatore? l'importanza del brand rimane invariata o in casi di crisi economica perde molto della sua efficacia?
Certamente oggi il consumatore (lo dicono tutti idati diponibili) tende ad essere più attento e razionale: laddove pero' non e' in gioco la qualita' di vita e di imamgine di se'. paradossalmente oggi le merche che hanno ben costruito resistono, si affermano le insegne (dei punti vendita) come marche vicine al consumatore, mentre laddove tutto era costruito sulal superficialitaì ludica ed edonistica la marca perde il suo appeal. vincera' chi sapra' coniugare prezzo, relazione con il consumatore (servizi, attenzione, vicinanza, e qualita' sia del prodotto sia dei valori che animano l'impresa. fuori dal gioco i consumatori vorranno vedere meglio l'impegno e la serieta' della imporesa, della sua misison, della sua etica, dei suoi valori. passera' dalla centralita' dell'edonismo a quello della salute e del benessere.
Le vorrei strappare una promessa. So che sta dando alle stampe un nuovo libro. potremo risentirla per parlare delle ricerche che presenterà sul nuovo volume?
Il volume nasce da un lavoro empoirico di ricerca sul tipo di relazione che esiste tra consumatore e brand. e indica chiaramente che esiste e che e' destinata a durare anche nellacrisi. ma solo per chi la manocìvrera' con cura intelligenza e profondita' di insight.
La ringrazio per la disponibilità e invito gli altri utenti a porle le loro domande.
Luca Oliverio
Luca Oliverio

Luca Oliverio è il founder e editor in chief di comunitazione.it, community online nata nel 2002 con l'obiettivo di condividere il sapere e la conoscenza sui temi della strategia di marketing e di comunicazione.

Partner e Head of digital della Cernuto Pizzigoni & Partner.

Studia l'evoluzione sociale dei media e l'evoluzione mediale della società.