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I bambini e la pubblicità, influenza e... assilli.

11/07/2005 52485 lettori
6 minuti

Il Fattore Assillo (Nag Factor) approda anche in Italia.
Tecnica subdola per la manipolazione di 'tavolette di cera su cui incidere', o più semplicemente una tecnica di marketing che tenta di imporre il volere dei figli sui genitori?

Il Nag factor è una tecnica introdotta da psicologi dell'età evolutiva, e noi per fare un po' di chiarezza,
conoscere meglio la tecnica, e conoscendola magari anche imparare a difendersene, abbiamo deciso di contattare la maggiore esperta dei processi evolutivi in Italia, la dottoressa Anna Oliverio Ferraris.

Mi scuso in anticipo se le mie domande saranno lunghe, ma più che un intervista abbiamo deciso di fare una chiacchierata sull'argomento.

Dottoressa Ferraris, bentornata. Sono contento di rivederla. Rompiamo il ghiaccio con una domanda diretta: psicologia e pubblicità è un connubio non nuovo. I padri del comportamentismo americano si erano già dedicati all'argomento. Se la memoria non mi inganna Watson e il suo allievo Walter Dill Scott furono, prima incaricati di eseguire studi sull'efficacia delle campagne di comunicazione, e successivamente Watson ricevette dalla J.W. Thompson l'incarico di creare campagne di comunicazione per dentifrici e borotalco; agli studi di Watson dobbiamo l'attenzione al brand, e il concetto stesso di lealtà nei confronti del brand, così come l'uso dei testimonial nelle campagne pubblicitarie.
Sembra dunque che il nostro pubblico sia influenzabile. Ma questo è vero sempre, o solo quando il pubblico non ha le armi (culturali o dovute all'esperienza) per difendersi?
In linea di massima tutti siamo influenzabili, quando ci abbandoniamo al 'flusso' (d'altro canto è difficile stare costantemente all'erta...). Ovviamente le persone dotate di senso critico, con esperienza e una vasta cultura, abituate e riflettere e ragionare, lo sono molto di meno e sono in grado di difendersi. Viviamo però, tutti quanti, sotto un bombardamento costante di stimoli, molti dei quali intendono indirizzarci verso acquisti, mode ed opinioni prefabbricate (anche politiche e religiose) nel modo più rapido possibile: l'obiettivo dei 'manipolatori' di professione non è convincere sulla base di validi motivi (per esempio la qualità intrinseca di un prodotto, la sua effettiva utilità ecc.), che richiederebbe troppo tempo specialmente nella cosiddetta società di massa; ma condizionarci facendo appello alle nostre emozioni, facendoci sentire inadeguati o esclusi, inculcandoci delle insicurezze o anche, più semplicemente, creando intorno a quel prodotto (a quell'opinione, comportamento, pseudo-evento, personaggio ecc.) un clima di simpatia, di allegria e/o di condivisione.

Ci può spiegare come funziona il nag factor a livello psicologico? Quali sono le leve, i meccanicmi che va a smuovere e mobilitare?

Per nag factor si intende il 'tormento' (richieste insistenti, capricci, paragoni con gli altri bambini...) che un bambino ben condizionato dalla pubblicità dà ai suoi genitori, nonni, zii ecc. affinchè acquistino per lui un determinato prodotto, gli consentano di vestire e comportarsi in un certo modo, di mangiare determinati alimenti, compresi i cosiddetti cibi spazzatura che rendono obesi e danneggiano l'organismo, ma su cui le grandi compagnie spendono per la pubblicità cifre da capogiro.
Una campagna pubblicitaria ben congeniata può mettere in crisi il rapporto genitore-bambino: il piccolo a cui si dice che una serie di prodotti sono 'per lui', considera 'cattivo' l'adulto che non soddisfa le sue 'legittime' richieste. Se il messaggio che proviene dai media contrasta apertamente con la volontà dei genitori, questi dovranno fare un lavoro supplementare per convincere i figli a seguire la loro linea educativa; in caso contario ad avere la meglio saranno i messaggi pubblicitari, nuovi educatori di molti bambini contemporanei.
Chi ha come target i bambini - dai 2 anni in su e a volte anche di età inferiore - si preoccupa di 'fidelizzarli' al prodotto, alla marca (brand) il più presto possibile e per ottenere questo mette a punto stretegie volte a manipolare le loro emozioni: per esempio, l'attaccamento che i bambini di età prescolare sviluppano nei confronti degli oggetti con cui vengono in contatto, le persone e i personaggi (compresi quelli che compaiono sugli schermi) che incontrano quotidianamente. L'obiettivo è infatti triplice: renderli insistenti nella richiesta di determinati prodotti indirizzati a loro (nag factor); ottenere che con le loro richieste influenzino gli acquisti degli adulti (non solo cibi e giocattoli ma anche prodotti per la casa, auto, telefonini ecc.); fidelizzarli, appunto, ad una marca, una confezione, uno slogan che acquisisce, per il piccolo consumatore, una risonanza emotiva che, nelle intenzioni dei pubblicitari, dovrebbe accompagnarlo anche negli anni successivi, così da renderlo dipendente da quel determinato prodotto per molti anni ancora... L'immagine del prodotto, di per sé, dovrebbe evocare senzazioni gradevoli, protezione, affetto, sicurezza oppure avventura, curiosità, autonomia.
Per ottenere questo triplice risultato, le grandi compagnie internazionali hanno ingaggiato psicologi che, attratti da lauti guadagni e a conoscenza dei bisogni fondamentali dei bambini e dei moti del loro inconscio, mettono le loro conoscenze a disposizione dei pubblicitari: questi ultimi, collaborando con gli psicologi (e anche con sociologi ed esperti di comunicazione), mettono poi a punto strategie che variano in rapporto all'età del 'target' e alle caratteristiche del prodotto.
Con i più piccini funzionano gli animali, i movimenti lenti (che annoiano gli adulti), i colori, i ritmi musicali, le rime semplici e orecchiabili (jingle), piccole vicende di vita quotidiana e naturalmente le confezioni (p. es. degli alimenti) rappresentano un aspetto primario: se l'obiettivo è condizionare (non convincere), la qualità del prodotto è irrilevante rispetto alla confezione.
Altre tecniche -variabili con l'età - sono le collezioni di giocattoli o figurine che vengono 'regalati' con il prodotto, i cibi modellati (forme di animali e personaggi dei fumetti) e colorati artificialmente, l'abbinamento con personaggi dei cartoni.
Con i più grandi funzionano le star del calcio, del cinema e della musica pop. A questo proposito è importante ricordare che il senso critico, anche quando è sviluppato, non sempre ha la meglio sulle emozioni e i desideri. Per esempio, un ragazzino di undici-quattordici anni può essere ormai del tutto consapevole della finalità persuasiva e manipolatoria della pubblicità che oggi va per la maggiore, ciononostante può cedere ugualmente al fascino del suo eroe del calcio e desiderare le scarpe che l' 'eroe' reclamizza in tv...
Ci sono anche tecniche più subdole che mirano a 'inoculare', nella mente di bambini e ragazzi, insicurezza e insoddisfazione nel caso in cui non riescano a venire in possesso di un determinato prodotto; a volte la frustrazione può creare una vera e propria ferita narcisistica se altri bambini o ragazzi sono invece in possesso dello status simbol del momento, se sono più belli, più fortunati ecc. C'è per molti lo sconfortante confronto tra la propria vita, il proprio ambiente familiare e quello invece gioioso e brillante in cui si muovono i protagonisti degli spot, coetanei degli spettatori.
Infine, la pioggia di pubblicità cui sono sottoposti i bambini ha anche l'effetto di promuovere, inconsapevolmente, giorno dopo giorno, esposizione dopo esposizione, una mentalità materialistica: valori, felicità, rapporti personali sono tutti legati al possesso di qualcosa e se non si possiedono i prodotti di moda in quel momento ci si sente inquieti, infelici, incompleti...

A me i conti non tornano. Un imprenditore che si rivolge al mercato deve conoscere i desideri dei consumatori, quindi fornirgli i beni necessari. A volte i consumatori hanno 'voglia di qualcosa di buono' ma non sanno dargli un nome, così un imprenditore crea un 'Roché'. Tutto questo mi sembra andare incontro alle esigenze dei consumatori, niente di più lucrativo e al tempo stesso etico, perché tendente alla soddisfazione di un bisogno. Dove avviene il corto circuito?

Anche se spesso è difficile fare una distinzione netta, alcuni bisogni sono autentici, altri invece sono indotti artificialmente oppure gonfiati e stravolti. Un esempio. Oggi tra i preadolescenti e i bambini 'va di moda' il wrestling, una lotta spettacolo che proviene dagli USA e che in Italia è arrivata accompagnata da un gran battage pubblicitario e da una serie di gadget (figurine, pupazzetti, costumi...). Ora, è un bisogno dei bambini fare la lotta. Da sempre, a partire dai quattro-cinque anni ai bambini piace lottare per gioco. Giocano i maschi e giocano anche le femmine. E' una attività che fanno anche i cuccioli di altri mammiferi. C'è il piacere del contatto fisico, c'è improvvisazione, c'è apprendimento (si capisce fin dove ci si può spingere, quando fa male...), c'è divertimento e c'è anche comunicazione. Tutt'altra cosa è invece il wrestling, che non è una lotta spontanea nè una lotta vera e propria ma fiction, ossia una rappresentazione della lotta che può dare l'impressione di essere innocua, quando invece i colpi che i lottatori si scambiano (per finta e grazie a un lungo allenamento), se ripetuti tali e quali nella realtà e senza un pavimento elastico su cui cadere e rimbalzare, potrebbero essere micidiali. Quindi, i nostri bambini non avevano 'bisogno' del wrestling, il wrestling è stato introdotto da chi aveva interesse a diffonderlo e ora viene spacciato per un 'bisogno' dei bambini, i quali amano la lotta...


Sotto accusa cadono i focus group e il viral marketing. Tecniche invasive per la coscienza? Cosa avviene nella mente di un bambino?

Un bambino ha una visione ottimistica della pubblicità. Così come ottimistico e fiducioso è il suo rapporto con gli adulti. Prende alla lettera le informazioni. Non pensa che lo si voglia ingannare o strumentalizzare. Ed è giusto che sia così. Anche quando distingue gli spot da altri programmi o capisce che la pubblicità serve per vendere, pensa ai 'consigli per gli acquisti', non a condizionamenti o a sottile tecniche di persuasione. D'altro canto, sono molti gli adulti che pensano allo stesso modo e seguono diligentemente i 'consigli'.
E' nota la distinzione tra pubblicità informativa (p.es. le pubblicità progresso), che si limita ad informare sulle caratteristiche dei prodotti e fornisce al consumatore gli elementi per poter giudicare e pubblicità persuasiva che invece intende influenzare e sedurre affiancando alla marca e al prodotto stimoli che non c'entrano nulla con le caratteristiche del prodotto. Si punta alle emozioni, si creano delle suggestioni, dei climi, delle atmosfere... Le stesse tecniche, com'è noto, sono ampiamente usate anche nella capagne politiche: il viso rassicrante o ridente del candidato, oppure lo slogan accattivante che si imprime nella memoria, vale, per l'elettore ingenuo, più del programma elettorale. Ovviamente, non tutti siamo elettori ingenui...

Per quale motivo è pericolo il nag factor?

Incrina il rapporto genitori-figli. Toglie autorevolezza e anche sicurezza ai genitori nel momento in cui - per stanchezza, sensi di colpa, timore che il proprio figlio possa sentirsi discriminato o inferiore ai compagni - cedono a richieste a cui non avrebbero voluto cedere.

I bambini si abituano a gratificarsi con l'acquisizione di oggetti oppure ingerendo quei cibi colorati che vedono reclamizzati dapertutto (l'obesità infantile è molto diffusa negli USA e si sta diffondendo anche da noi come in altri paesi). I bambini crescono guidati da tecniche comportamentiste che li condizionano e li modellano. Se l'azione educativa di genitori, insegnanti ecc. non è sufficientemente incisiva, essi rischiano di crescere del tutto eterodiretti e di non sviluppare degli spazi interiori di riflessione, ragionamento e anche di ascolto dei propri stati psichici e fisici. Per quanto riguarda i prodotti alimentari, per esempio, i bambini che imparano a mangiare in risposta a stimoli esterni e non in base ai segnali di fame o di sazietà provenienti dal proprio stomaco, rischiano di perdere il contatto con il proprio corpo, come accade agli obesi.

Mi perdoni, ci cado sempre, ma credo sia il tema più importante: se i bambini vogliono omologarsi agli altri bambini... c'è un forte problema di identità che si tramuta in identificazione?

L'omologazione può dare sicurezza, l'Io dei bambini e dei ragazzi è in trasformazione ed è comprensibile e naturale che si appoggi al Noi del gruppo dei coetanei o al Noi generazionale proposto da altre entità come media, musica giovanile, mode (piercing, tatuaggi ecc.). Non bisognerebbe però mai rinunciare a coltivare anche l'Io individuale, perchè bisogna anche saper scegliere, saper dire 'si' e 'no' a ragion veduta e non solo per compiacere il gruppo ed essere in sintonia con la maggioranza. Il conformismo diffuso è squallido e deprimente. Ammazza la creatività e non consente ad una comunità di evolvere. C'è bisogno di persone che sappiano pensare con la propria testa e possiedano il coraggio per opporsi quando è necessario; ma questo è frutto di un lungo processo educativo ... ci vogliono i buoni maestri.


In un suo testo leggo: 'Nel contesto socio-culturale di questi anni l’individuo - immerso in un flusso euforizzante di sensazioni e modelli di identità diversi - vive una sorta di dilatazione dell’Io che potenzia il desiderio ma indebolisce l’identità.'
C'è questo rischio che, tra l'altro, dà un'impressione di onnipotenza che alla prova dei fatti può riservare cocenti delusioni. Sembra di potere tutto, di avere diritto a tutto, di doversi concere tutto e, arrivati alle soglie della giovinezza, si ha paura di scegliere, di imprimere una direzionalità alla propria vita perchè ciò significherebbe chiudersi delle porte alle spalle, precludersi delle possibilità... Si tratta di una condizione che è normale nel corso dell'adolescenza (Erik Erickson parla di 'moratoria', di sospensione temporanea dell'identità individuale), può diventare però un impedimento in seguito.

E poi c'è la comunicazione. Si torna al problema della TV. E quindi torna un tema che abbiamo già trattato nella nostra precedente 'chiacchierata'. E abbiamo già detto che i genitori dovrebbero 'socializzare' la televisione, come un normale agente della vita quotidiana. E oggi sottoaccusa viene anche messo il westriling che mediaset vorrebbe portare nel prime time... Mi sà che mi sto incasinando le idee. Con calma riprendiamo le redini. I genitori cosa possono fare? come difendere i propri figli?

Sono sempre più convinta della necessità di 'scuole per genitori' (non la scuola classica ma gruppi di incontro e di discussione), nel senso che i genitori di oggi dovrebbero riflettere di più sui principi educativi da adottare con i bambini e i ragazzi di questa nostra epoca. Nel giro di pochi decenni ci sono state enormi trasformazioni nello stile di vita sociale, familiare, individuale e di coppia. La scuola è in crisi e televisione e play station occupano uno spazio eccessivo nell'arco della gioranta. La televisione è dominata, oggi, da una logica commerciale e i buoni programmi non sono numerosi. Bisogna comprendere quali sono i reali bisogni di crescita di bambini e ragazzi e contrastare forme di dipendenza precoce che passivizzano, non abituano a lottare, iperproteggono (oppure trascurano, abbandonano) e quindi non preparano a sufficienza alla vita che verrà.
La ringrazio per la cortesia e l'attenzione che ci ha voluto prestare. Questa chiacchierata non voleva essere esaustiva, ma uno spunto per gli altri ricercatori, studenti e docenti per continuare la nostra chiacchierata attraverso il nostro blog. A presto dunque.
Luca Oliverio
Luca Oliverio

Luca Oliverio è il founder e editor in chief di comunitazione.it, community online nata nel 2002 con l'obiettivo di condividere il sapere e la conoscenza sui temi della strategia di marketing e di comunicazione.

Partner e Head of digital della Cernuto Pizzigoni & Partner.

Studia l'evoluzione sociale dei media e l'evoluzione mediale della società.