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Dipendenze - adolescenti e droga -

23/03/2005 29909 lettori
4 minuti
LO SAI CHE?

A 18 anni almeno il 70% dei ragazzi fuma derivati della cannabis e il 30% fa uso di droghe pesanti.

 

Il problema della droga è in continua trasformazione e in aumento. Le droghe che andavano per la maggiore anni fa hanno lasciato il posto a cocaina, ecstasi ecc. Inoltre il fenomeno di consumo di droghe è in aumento e coinvolge fasce sempre più giovani di ragazzi. Lungi dal voler dare la risposta ultima a questo problema daremo degli spunti che crediamo utili; queste considerazioni sono poco attuali e non ci stupiamo se lasceranno contrariate molte persone.

Il sistema sociale cerca di arrabattarsi come meglio può per affrontare il disagio giovanile. Le migliori intenzioni sono spesso tramutate in cieche campagne politiche. Da una parte è evidente che proibire l’uso delle droghe non risolve affatto il problema. Impedire che vengano venduti gli alcolici in discoteca significa vedere bande di giovani arrivare al parcheggio dei locali con sacchetti di plastica contenenti bottiglie di superalcolici acquistati altrove.

Del resto che si deve fare? Vuoi forse incitare i giovani a drogarsi? Tutta questa è propaganda politica. Andiamo al sodo.

Il vero problema non è la droga ma la dipendenza che piega il giovane a diventare schiavo della droga. Col termine ‘dipendenza’ si intende quel bisogno di riempirsi la vita con qualcosa che viene percepito come essenziale: non posso vivere senza. Questo stato di dipendenza non esiste solo nei confronti della droga: altre aree estremamente importanti sono quelle del lavoro e delle relazioni affettive. Spesso queste dipendenze alternative vengono del tutto trascurate.

Di una persona che lavora dodici ore al giorno, si dice: guarda che bravo giovane! E non si pensa che potrebbe trattarsi di una persona che non sa vivere senza un lavoro che la distragga da un terribile vuoto interiore.

Che dire poi delle forme di dipendenza brutale che si creano nelle relazioni di coppia. Soltanto quando queste relazioni sfociano in casi da cronaca nera l’opinione pubblica si accorge che c’è qualcosa che non va. Altrimenti la gelosia estrema è anzi l’irrinunciabile prova d’amore.

In sintesi si mostrifica la cosa sbagliata: si pensa che sia colpa della droga anziché di uno stato interiore delle persone e questo è un errore fondamentale che porta a concentrare gli sforzi sui nemici sbagliati. Si attaccano i fattori esteriori: la droga, appunto, le cattive compagnie… e non quelli interiori.

Dando la colpa alla droga succedono due fatti fondamentali a livello di comunicazione:

1) si comunica al giovane: tu sei più debole di Lei, Lei ti può controllare. E’ come se ci fosse una parte di te che prende il sopravvento nonostante la tua volontà. (Viene utilizzato molto, infatti, il concetto dell’indebolimento della volontà.).

Questo alimenta la paura per le droghe e così ne aumenta il potere. Non c’è modo più debilitante di rimanere psicodipendenti da qualcosa che l’averne paura.

Chi ha un amico che ha smesso di fumare o di bere e che ha paura di ricominciare sa cosa voglio dire. Se uno ha paura ad andare in un bar perché non riesce a trattenersi dal bere un goccetto, anche se non beve più da anni è comunque ancora drogato.

2) Il giovane viene affascinato con questo mito. C’è un’umana attrazione per ciò che è più forte, quasi divino, soprattutto se è proibito. E una volta che se ne fa uso, l’ipnosi collettiva agisce: tu sei più debole, ora non puoi sottrarti.

Cosa fare allora? Cosa significa prestare attenzione al bisogno interiore che alimenta l’uso della droga? Quali risorse interiori si devono sviluppare?

Consideriamo la questione da questo punto di vista: quando una persona sa sentirsi sicura nei contesti sociali, sa accettare se stessa, sa crearsi delle situazioni nelle quali vivere e godere delle emozioni, la droga non serve più, non serve più la cocaina per essere più lucidi e forti né un sovraccarico di lavoro per riempire i vuoti esistenziali.

Sì, la tossicodipendenza nelle sue varie forme, non si può risolvere nei termini di uno scambio di battute ma nell’aiutare i figli a crescere nel pieno sviluppo delle loro potenzialità emozionali.

Intelligenza Emotiva è il nome che oggi si usa per indicare quell’insieme di abilità. D. Goleman è stato il primo a contribuire alla diffusione di questo concetto. Ed è proprio a partire dalla comunicazione che si usa con i figli che si può sviluppare; a partire dall’attenzione che gli educatori professionisti e la scuola in generale presteranno nei prossimi anni a questi nuovi strumenti.

Sul sito di ‘Ranocchi e Principi’ (www.ranocchieprincipi.it) puoi trovare delle indicazioni gratuite su tutto ciò. Non si tratta di questioni teoriche ma di strumenti concreti applicabili alla vita di tutti i giorni per aiutare i bambini ad affrontare nel modo più stimolante i passi verso una consapevolezza delle emozioni, una sicurezza di sé, una sana gestione dei rapporti con gli altri.