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Prego, chiamatemi dottore

17/12/2012 222360 lettori
4 minuti

Partiamo da un presupposto, ovvero, il fatto che Comunitazione è un sito seguito solo da persone che sono vicine al mondo della Comunitazione, per cui sarebbe “inutile”, per certi versi, comunicare un problema a chi questo problema dovrebbe già conoscerlo.

Partiamo dal presupposto che, la laurea in “Scienze della Comunicazione” “partorisce meno disoccupati di altre lauree, ma, ammettiamolo, molti di loro avrebbero lavorato anche se non avessero conseguito la laurea in “Scienze della Comunicazione”. Un mio amico, lavora come art director nella Leo Burnett, ma credetemi questo mio amico, che è un genio della grafica, sta lavorando in quella azienda grazie ad un corso professionale. All’università abbiamo studiato materie come “Grafica Pubblicitaria” e “Web Design”, ma credetemi, nessuno ci ha spiegato Photoshop e il linguaggio html.

Partiamo da un presupposto che in Italia con la laurea in “Scienze della Comunicazione” non puoi insegnare, malgrado ci siano classi di insegnamento riconducibili alla nostra laurea (Teorie del Cinema ad esempio), né tantomeno puoi fare carriera accademica.Partiamo dal presupposto che per le aziende la laurea in “Scienze della Comunicazione” è una laurea inutile, perché per le aziende conta solo l’esperienza, anche se poi se nessuno è disposto a fartela fare.

Partiamo dal presupposto che esiste una legge, la 150, che imporrebbe agli enti pubblici di adibire al ruolo di addetto alla comunicazione (e non solo) esclusivamente personale laureato in “Scienze della comunicazione”, ma quasi nessun ente rispetta tale legge e nessuno di noi si è mosso. Partiamo dal presupposto che ci sono troppi laureati in “Scienze della Comunicazione”, ma nessuno di noi ha mai fatto proposte concrete, quali la razionalizzazione del numero dei corsi di laurea e/o l’introduzione del numero chiuso (vero), che possano portare ad un miglioramento delle opportunità lavorative dei laureati in Scienze della Comunicazione. In altre parole versare dell’acqua in un bicchiere pieno è insensato, bisogna ammettere però che i preside di molte facoltà umanistiche usano le tasse degli studenti di “Scienze della Comunicazione” per mantenere le loro facoltà, che spesso gravano in situazioni gravose. Partiamo dal presupposto che in Italia tutti manifestano.

Qualche giorno fa una manifestazione degli archeologi, alla quale hanno “aderito” in 4, ha attirato anche le telecamere del “TG3”, e se protestassimo noi dottori in “Scienze della comunicazione” che siamo un esercito? E se si muovessero anche le associazione che hanno a che fare con il nostro mondo? E se un giorno le imprese e gli enti valutassero la laurea in “Scienze della Comunicazione”?

E se potessimo un giorno insegnare, magari quelle materie, così specifiche, come “Grafica Pubblicitaria” e “Web Design”, insegnamenti che, credetemi, nel mio corso di laurea erano affidati rispettivamente ad un architetto e ad un laureato in Lettere. E se un giorno ci facessimo chiamare dottori?