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L'e-commerce che verrà

15/02/2010 23892 lettori
4 minuti

Da pioniera del Web, ho seguito sin dai suoi esordi il fenomeno e-commerce. Fine XX secolo! Erano gli anni delle connessioni lente, dell’ISDN a singhiozzo (a casa mia), dei primi vagiti della Net Economy, dell’Italia che scopriva l’uso delle e-mail, anche a scopo promozionale. Leggevamo che gli Americani a Natale facevano acquisti sugli store online dove, senza doversi spostare da casa, trovavano di tutto e di più, comodamente consegnato a domicilio entro pochi giorni dall’ordine etc.
A me pareva, la loro, una macchina fantastica, oliata alla perfezione. Da noi la scena era ancora deserta e gli impazienti cominciavano a scrutare curiosi le possibilità offerte da Amazon. Poi arrivarono i primi operatori nazionali i quali si trovarono da subito ad annaspare tra i problemi. Logistica: sì, no, come? Marketing, policy dei prezzi, gestione dei resi, costi di spedizione, forme di pagamento, appeal e navigabilità dei siti etc.
Fior di discussioni e dibattimenti in tema di commercio elettronico erano all’ordine del giorno (l’archivio di Mlist è una risorsa preziosissima per chi volesse farsene un’idea).
A distanza di oltre 10 anni mi pare pur giusto tirare le somme, o no?
Lo ha fatto in queste settimane la Commissione Europea, l’ho fatto io da acquirente.
Ne emerge che di abusi ce n’erano e continuano ad essercene troppi, che l’acquirente risulta essere la parte debole, che gli Italiani sono ancora poco attratti dalle vendite online. L’Europa allora avanza le prime (discutibili) proposte per regolamentare il mercato, ma a me francamente non convincono.

 

Da cliente, a partire dal mio primo temerario acquisto con carta di credito (datato Settembre 2001), se mi sottoponessero un questionario di customer satisfaction, potrei dichiararmi soddisfatta solo al 50%. Non di più, per ora.

 

Ho sempre guardato all’e-commerce come ad una opportunità, che soprattutto il Made in Italy  avrebbe potuto cogliere prima. Nel fashion, ad esempio, per anni abbiamo dovuto sorbirci un’offerta misera, fatta spesso di fondi di magazzino, di collezioni passate, di merce pseudo-scontata, fallata, talvolta di contraffazioni. Gli store monomarca del lusso (pochi) sono apparsi solo in anni recenti, e con fatica. “Gli stlisti sono scettici”, ci dicevano. In realtà solo tempo ed affari persi, non credete?

 

Ed allora, a ripensarci, ben vengano pure le iniziative di Bruxelles, purchè si riordini, e ci sia finalmente stimolo per nuovi e più qualificati operatori.

Titti Zingone

Marketing Park