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4 - La figura femminile nella pubblicità

06/04/2009 22077 lettori
4 minuti
La donna ideale del pubblicitario
Ogni giorno veniamo a contatto con stili diversi dal nostro e diversi tra loro, con molti linguaggi dissimili e ci troviamo davanti anche un’immagine controversa e multiforme della donna: dalla sagoma della signorina “libera e aggressiva” a quella della signora tutta “casa e chiesa” passando, di tanto in tanto, per quella della donna “normale”. Questa immagine è veicolata molto spesso dalla pubblicità stessa. Una ricerca, realizzata per .com[4] nell’estate 2001, ha interpellato 100 pubblicitari ed esperti di marketing e comunicazione e ha messo in risalto i seguenti dati: per il 60% di loro la donna deve essere bella, attraente e impegnata, competente e versatile. Per il 46% asset vincente è la cultura cioè la capacità di mostrare, senza ostentazione, gusto e conoscenza. Il fascino risulta quindi vincente sull’essere “sexy” (D. Brancati, 2002, p. 128).
Sempre secondo il parere di questi creativi, il pubblico, in particolar modo gli anziani, preferisce una donna magari meno bella, ma capace di trasmettere intelligenza, piuttosto che una “solo curve” (D. Brancati, 2002, p. 128). Come diceva Gian Maria Fara, il target è sacro e proprio per questo la comunicazione sa sempre a chi deve rivolgersi.
J. P. Foley sembra invece dar contro alla dichiarazione di Fara sostenendo che la pubblicità tende spesso e porre le donna in condizioni di svantaggio rispetto all’altro sesso: “l’abuso di questa figura è frequente e deplorevole. Quante volte vediamo le donne come oggetti destinati a soddisfare il desiderio di piacere o di potere di altri?[…]”(J. P. Foley citato da D. Brancati, 2002, p. 130). Per spiegare questa affermazione torno sulla questione della casalinga trattata nel paragrafo precedente. La crescita della figura femminile, ha portato oggi alla scomparsa della “signora Maria” che rappresentava un punto di riferimento per i messaggi pubblicitari. Attualmente abbiamo davanti una donna completamente diversa: emancipata, istruita e curata che non passa più tutta la giornata a casa ma che viaggia, lavora e si confronta con il mondo esterno. Anche la pubblicità diretta a lei o che la vede protagonista, quindi, ha dovuto cambiare registro, anche per rassicurarla sulla propria importanza e sul proprio status. La pubblicità emozionale, non quella fattiva, non quella che si limita a recitare “da Expert grande offerta 3x2”, funziona come una calamita: attrae, emoziona, seduce provocando l’impulso alla compera. Ma in che modo si passa dalla seduzione all’acquisto? La pubblicità solitamente ci propone articoli nuovi, prima d’ora sconosciuti e quindi, non potendo dare per scontato che il prodotto otterrà il successo desiderato, ci considera acquirenti “incerti”: colui che non è sicuro, non va persuaso bensì sedotto. Poiché la seduzione è priorità esclusivamente femminile, in un certo senso, secondo Adriano Cipolla[5], si potrebbe dichiarare “femmina” la pubblicità.  Eppure, nonostante questa attenzione verso la figura femminile, nella pubblicità, la donna continua a fare l’oggetto (P. Ettorre citato da D. Brancati, 2002, p. 237-251).
 


 
[4]  Ricerca pubblicata su .com dell’8 agosto 2001, realizzata da EtaMeta: Maria Comotti, “pubblicitari, Afef testimonial ideale”.
[5] Vicepresidente del Gruppo Publicis SA, uno dei cinque network di comunicazione più importanti al mondo(citato da Brancati, 2002, p. 225-235).