Per un’analisi strutturale di Calciopoli
Per un’analisi strutturale di CalciopoliSommario:
Una semplice analisi dei fattori produttivi alla base degli scandali del calcio italiano ne rivela i fondamenti economici.
- A 'Sdenko' Zeman
Sono passai 15 anni da quando ragazzi fondammo a Palermo il «Football Club Zdenek Zeman». Zdenek è il nipote di “Cesto” Vycpalek, grande bomber ceco del Palermo anni ’50, poi allenatore scudettato della Juventus.
“Cesto” è rimasto a vivere a Palermo, a Mondello, con sua moglie in una casa semplice piena di cimeli sportivi. Nell’ottobre del 1998 con Fabrizio Lo Celso lo intervistiamo prima di andare ad incontrare lo stesso Zeman, allora allenatore della Roma, che ha da poco rilasciato dichiarazioni gravissime a L’Espresso sul doping e il controllo del calcio da parte della Juve. Zdenek conferma tutto. E le interviste vanno in onda su Radio Day quella sera stessa a «Football Sicilia Mondo».
Con noi in studio c’è Roberto Bonvissuto, juventino da sempre, col quale ci scontriamo: “fanno tutti così”, dice lui. Nel 1987, tutti insieme, abbiamo iniziato a seguire in trasferta il Palermo calcio sui campi di C2 fra Trapani, Crotone, Casarano e Siracusa.
Nel maggio 1989 ad esempio siamo a Catania: alle 11 del mattino siamo già seduti sui gradoni della gradinata. Lungo le strade ci tirano i vasi di fiori dai balconi. La partita – pulita – finisce 1 a 1. Al ritorno, esausti, per convincerlo a fare in fretta cantiamo all’autista del pullman: “Domenica Sportiva oh, oh, oh, oh, oh… Domenica Sportiva, oh, oh, oh, oh, oh…”.
Nel 2002, però, abbiamo smesso di andare allo stadio: partita per partita ci accorgevamo che le partite erano tutte, o quasi, decise prima dell'inizio. E’ successo quello su cui scherzavamo nei primi anni ‘90 quando scrivemmo un programma al PC per prevedere la schedina: fra i fattori presi in considerazione nel software inseriamo il “fattore Moggi”, cioè quanto una squadra è vicina al dirigente del calcio Napoli.
Maggiore la vicinanza, maggiore la probabilità di vittoria. Questo perché, puntualmente al rientro da Trapani (dove il Palermo giocava con lo stadio in costruzione) ascoltando la radio ci accorgevamo che ogni volta che il Napoli stava perdendo le relative partite finivano anche 10 minuti dopo le altre: il tempo necessario perché il Napoli pareggiasse.
Ne parlavamo con calciatori e allenatori. Bastava chiedere e iniziavano a sorridere. Il libro Lucky Luciano dedicato alle pratiche spicce del direttore generale della FC Juventus è del 1998. Eppure, gli Agnelli ne difenderanno sempre l’operato fino a ritrovarselo co-azionista dalla nuova società per azioni Juventus. Esperti dietrologi, ma desusi all’analisi strutturale, gli appassionati di calcio italiani oggi concordano: “qualcuno lo ha fregato, a Moggi”. Eppure, c’è un’analogia fra le cause della caduta di Antonio Fazio e quella del boss del calcio italiano; ed è quella che seppe intravedere Giulio Tremonti.
Involontariamente, è lo stesso Moggi a svelarla in una conversazione con il presidente del Messina cui rimprovera come a vedere la nazionale fossero solo in 5mila.
- «Tu -- gli dice arrabbiato -- mi avevi promesso 22mila paganti».
- «Ma che vuoi, Luciano. C'è la televisione...».
All’inizio del 2005 le tv private italiane lanciano in offerta la visione delle partite in tecnologia digitale terrestre. In edicola a 2 euro e cinquanta centesimi ci sono le schede di La7 e di Mediaset da inserire nel decoder. E in diretta vi vedete la partita della vostra squadra. “
-«E’ la fine di Sky», mi dice un amico ancora arrabbiato da quando la tv satellitare di Murdoch ha adottato un sistema di criptaggio del segnale praticamente invincibile.
- «Ti sbagli, gli replico. “Io sono abbonato a Sky, ma non allo sport. Perché la sera a vedere la programmazione Rai e Mediaste che per 4 mesi di pausa ‘estiva’ programmano Totò e Ben Hur…».
Ed infatti, dopo il boom iniziale, le vendite delle partite su digitale terrestre iniziano a flettere.
E’ il flop.
Come gli spettatori della Domenica Sportiva: poco più di 2 milioni, ad ascoltare quello che una volta era una bellissima trasmissione d’informazione ridotta a triste talk show con il principale opinionista -- tale Tosatti -- ad emettere sentenze (per giunta, come si scoprirà dopo, assecondando le aspettative di Moggi).
Con gli stadi si svuotano le poltrone dei telespettatori. Gli unici ascolti elevati sono per la Champions League. Le persone rifiutano di assistere ad un calcio che sanno essere corrotto e privo di interesse. A Palermo, con la squadra per la prima volta in coppa Uefa, lo stadio è pressoché vuoto ad ogni incontro; e va poco meglio in campionato.
Ovviamente, Sky inizia a ridurre sensibilmente il prezzo dei diritti che è disposto a pagare a tutte le squadre, all’infuori della Juventus e delle 2 milanesi. Iniziano le proteste e la ribellione al sistema da parte degli ex beneficiari. I presidenti delle squadre di provincia, ad iniziare dal Bologna, si ammutinano. Vengono puniti con la retrocessione. Cecchi Gori viene neutralizzato.
E’ come la scalata di Fiorani ad Antonveneta: senza soldi per fronteggiare l'offerta di acquisto di una delle più grandi banche del mondo, è costretto ad inventarsi stratagemmi.
Ineluttabilmente -- non avendone le risorse -- illegali. Il governatore della Banca d'Italia fa di tutto per garantirgli il successo.
Ma il sistema è saltato: I soldi per pagare le azioni ai vecchi azionisti non ci sono. E quindi, arrivano gli olandesi di Abn Amro. In questo, Moggi ha paradossalmente ragione: a comandare sono quelli che controllano i diritti televisivi.
Cioè, le televisioni. Che in Italia appartengono al principale di Giulio Tremonti -- uno che pure da ragazzo l’economia politica l’aveva letta e anche compresa -- prima di cercare anche lui una scorciatoia per andare a fare politica economica degenerata in plurimi condoni fiscali.
E finché l’audience ha retto il sistema stava bene a tutti, incluso l’ex presidente del consiglio che pure ha detto di non aver protestato prima a causa di una sedicente “deferenza per Agnelli”...
Ma il tempo dei telespettatori da imbonire con simulazioni precotte è finito. E non solo in Italia. Tv e pubblicitari non vogliono farsene una ragione.
E’ giunto il tempo di ripensare agli utenti come individui, e non come prede da spolpare.